La salute unico valore
nella crisi della società

L’importante è la salute. E su questo siamo tutti d’accordo. Ma quanto è importante la salute? Quanto siamo disposti a sacrificare per la salute? E soprattutto, esistono altri valori al di fuori della salute?

Dopo due mesi di panico generale, di impreparazione globale e di isteria collettiva il vero punto della vicenda coronavirus è diventato questo, paradossalmente molto di più delle statistiche sui caduti e i guariti, dell’evoluzione della curva epidemica, della sperimentazione di nuovi vaccini e, addirittura, della mostruosa recessione economica già in atto. Il tema vero, quello profondo, di visione, di lungo periodo, sta tutto nella semplice domanda: che cosa è oggi la nostra società? Se la società occidentale non ha più dei, non ha più ideologie, né quelle aberranti né quelle avvolgenti, e se, allo stesso modo, la democrazia borghese che l’ha incarnata dal Settecento a oggi ha perso via via tutti i punti cardinali del suo stare al mondo, svuotandosi di significato, di postulati politici, economici, etici e comunitari, che cosa resta? Non resta niente, un informe conglomerato gassoso, oscillante, deideologizzato e deresponsabilizzato che punta solo alla sopravvivenza. Alla sopravvivenza di massa e alla sopravvivenza individuale.

Se il cielo è vuoto e i maestri di pensiero sono andati in pensione, lasciando davanti agli occhi un orizzonte piatto e informe, allora l’unico obiettivo è stare bene, stare in salute, vivere il più a lungo possibile. Sopravvivere, appunto. E quindi la salute diventa il valore più alto, il valore incontrastato, il valore primario, il valore unico, vero e proprio monolito al quale tutto sacrificare e al quale in ogni circostanza obbedire.

Già negli anni passati si era colta questa strisciante isteria collettiva, ad esempio nel divieto assoluto di fumare o nell’obbligo assoluto di dimagrire, non tanto come scelta di vita individuale, e ci mancherebbe altro, ma come mantra sociale che espone alla gogna collettiva tutti quelli che osano infrangerlo. Isteria esplosa in modo definitivo dopo il virus, che ha portato alle estreme conseguenze la dittatura della salute. D’altronde se abbiamo solo quella, è del tutto naturale essere disposti a rinunciare a ogni cosa pur di preservarla. In tanti ironizzavano sull’efficacia delle misure di contenimento elaborate dal governo a marzo - figurati se un popolo di cialtroni anarcoidi come gli italiani rinuncerà a tutto quello che prevede vicinanza e contatto - e invece nella stragrande maggioranza dei casi è andata proprio così. E questo, cerchiamo di capirci, è un bene da un punto di vista strettamente sanitario. Ma se vogliamo portare la riflessione in profondità, ai più accorti non sarà sfuggito il fatto inquietante che queste rilevantissime quote di libertà individuale sono state sottratte alla società senza dover piegare la sua naturale opposizione - caspita, abbiamo combattuto due secoli per conquistare e mettere per iscritto i diritti fondamentali dell’individuo in una società liberal-democratica! - ma addirittura su sua richiesta. Siamo noi che abbiamo volontariamente rinunciato alla nostra libertà in cambio di protezione contro questa minaccia esterna. E il virus, per quanto assurdo possa sembrare, c’entra poco. Oggi è il virus. Ieri erano i migranti o i terroristi. Domani saranno i russi, i cinesi, i francesi o quello che fa più comodo a voi. Grande capo, salvaci tu.

E questa deriva pericolosissima è dimostrata dal continuo allargarsi del perimetro statale - più bonus, più assistenza, più redditi di cittadinanza, più sovvenzioni - quando invece servirebbe l’esatto contrario - meno tasse, meno burocrazia, meno invadenza nel privato - e la sua tendenza a scavalcare sempre e comunque i parlamenti, i diritti, i contropoteri, ormai perfettamente inutili visto che tutte le altre misure coercitive vengono dettate direttamente dall’esecutivo senza essere ratificate dalle assemblee. Stiamo assistendo, spettatori e complici, alla sparizione, all’annichilimento della politica che infatti, priva di basi culturali e soprattutto di spina dorsale - ve lo state gustando il nanismo dei nostri retori e dei nostri statisti di fronte all’enormità di questa sfida? – non ha fatto altro che delegare in toto i pieni poteri agli scienziati. Che infatti, quando non sono troppo impegnati a litigare tra loro - ma è normale, siamo di fronte a una malattia sconosciuta - fanno giustamente e asetticamente il loro mestiere, imponendo provvedimenti da vero e proprio imprigionamento domestico collettivo, la demolizione della nostra economia per un periodo indefinito, l’annientamento di milioni di posti di lavoro. Ma se questo ci va bene, allora perché perdere ancora tempo con partiti, governi ed elezioni? Basta nominare subito Burioni commissario eterno e universale e siamo a posto. Non è così, putacaso?

E anche noi della stampa, che di questa vicenda all’inizio non ci abbiamo capito una mazza - compreso chi scrive questo pezzo, compresi tutti, compreso lo stesso Burioni, che a febbraio diceva che in Italia il rischio di prendere il Covid era lo stesso di quello di essere colpito da un fulmine - forse almeno in seguito avremmo potuto trasmettere messaggi un po’ più chiari. Ad esempio, che l’unica vera arma di difesa è la distanza, ovunque uno si trovi. E invece abbiamo passato i giorni e le settimane e i mesi a martellare, a vessare, a perseguitare, a mobbizzare i poveri lettori con pletore di vip o sedicenti tali che invitavano tutti a restare a casa - facile fare il fenomeno con villa e piscina, stai tu due mesi in clausura in sessanta metri e un bagno solo e poi ne riparliamo - perché quella era la panacea di tutti i mali. In cinque uno sopra l’altro? Sei al sicuro, basta che tu stia a casa! Da solo in mezzo alle praterie del Nebraska? Sei fuori casa e quindi sei un untore da fucilare seduta stante! Poi sono arrivati i dati dall’Istituto superiore di Sanità sui luoghi di diffusione del contagio: 44% nelle Rsa, 11% in ospedale, 4% sul posto di lavoro (!) e 25% - ma guarda un po’ - in casa. No comment.

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