“Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, che abbiamo noi dopo aver perso Genova”. E pure tutta la Liguria. E il Pd, che non si smentisce mai, riesce anche a perdere vincendo. Perché in Liguria è di gran lunga il primo partito, dieci punti circa sopra FdI, eppure il nuovo presidente sarà Marco Bucci, candidato del centrodestra, e non Andrea Orlando, uomo del Nazareno. Certo la colpa della debacle sarà giocoforza scaricata sui Cinque Stelle che crollano superati da Alleanza Verdi Sinistra e anche dalla lista civica del candidato governatore. Non è stata una grande idea quella di Giuseppe Conte che ha scaricato il fondatore del Movimento, Beppe Grillo, ligure, proprio alla vigilia del voto nella sua regione. A meno che non sia stato un colpo basso di Bruno Vespa, visto che il licenziamento del comico prestato alla politica da parte del due volte presidente del Consiglio è stato annunciato nell’anticipazione del consueto libro strenna natalizia del conduttore di “Porta a Porta”. Tant’è, ma la sconfitta per la coalizione capitanata da Elly Schlein è pesante. Cancella subito le aspettative di un tre a zero nelle elezioni regionali (alla Liguria seguiranno Emilia Romagna e Umbria) che a questo punto vede favorito il centrosinistra solo nel suo territorio culla da Piacenza a Riccione.
Del resto cosa poteva fare di più il centrodestra per far vincere l’avversario? Il presidente uscente, Giovanni Toti, ha concluso il suo mandato con un patteggiamento voluto più per far dispetto agli amici che altro. Le vicissitudini del governo, esemplificati dal caos che aleggia al ministero della Cultura, dal ribollire interno al partito del presidente del Consiglio, dai rapporti sempre più tesi tra gli alleati, da una manovra che se portasse in calce la firma di Mario Draghi o Mario Monti nessuno se ne accorgerebbe sono lì da vedere. Eppure il centrodestra vince, la partita più difficile. Quella che, in caso di sconfitta, avrebbe potuto anche rappresentare il colpo di grazia per l’esecutivo, secondo qualche lettura. Invece i liguri hanno salvato Giorgia, che esce ancora più forte da una partita che avrebbe dovuto indebolirla. Sarà perché, come diceva a caldo qualche commentatore, il centrodestra, almeno quando ci sono di mezzo le urne, riesce a presentarsi come coalizione compatta da almeno trent’anni, mentre gli altri vabbeh. Se ce ne fosse bisogno, il voto in Liguria è l’ultima passata di inchiostro simpatico sulle due parole “campo largo”, che hanno portato bene al Pd e compagnia come la valigia viola al cospetto del duca conte che Fantozzi deve accompagnare al casinò di Montecarlo. Se Paolo Villaggio, ligure, fosse ancora tra noi, probabilmente farebbe dire al suo personaggio più riuscito le stesse parole pronunciate in un raro impeto di orgoglio a proposito della corazzata Potemkin. Le parole che echeggiano nelle stanze del centrosinistra sono invece quelle ormai consunte dal tanto uso: “E adesso?” Perché qui va ripensato tutto: l’alleanza in primis, alla luce di quelli che saranno gli sviluppi dell’Armageddon interno ai Cinque Stelle, magari con un’occhiata ai flussi, i quali rivelano che non tutta l’emorragia del Movimento è stato sangue trasfuso dentro il centrosinistra ed è finito perlopiù nell’astensione. Last, ma not least, vista l’esigua distanza tra i due candidati presidenti: ma se ci fosse stato Renzi, cosa staremmo a raccontarci adesso? E chi non ha voluto Italia Viva? Conte. Ora più che di “campo largo” si parlerà di “scalpo largo”, perché partirà un’ampia caccia ai tanti colpevoli. Da Genova è tutto.
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