L’altro ieri è caduto il venticinquesimo anniversario della scomparsa di Bettino Craxi. L’anno scorso abbiamo ricordato i quarant’anni dalla morte di Enrico Berlinguer. Che destino quello dei due leader della sinistra: divisi anche oltre la vita. E non solo. Mentre lo storico segretario del Pci è stato elogiato per la sua azione politica subito dopo la sua tragica fine, durante un comizio a Padova e, negli anni, poi “rivisitato”, per il leader del Psi è avvenuto l’esatto contrario. Quando, nel 2000 ad Hammamet, il “cinghialone” (copyright di Vittorio Feltri, poi pentitosi) aveva ceduto alle complicazioni del male che lo perseguitava da anni, era la rappresentazione del “male assoluto”, il capo e l’emblema di Tangentopoli e della corruzione politica.
Poi il tempo è stato galantuomo e sono riemerse le indubbie qualità politiche, la sua capacità di visione e la modernizzazione della sinistra, che mandava in soffitta i cascami del marxismo applicato, cosa che ancora non è riuscita del tutto al Pd.Al punto che non pochi sono arrivati alla conclusione che tra Craxi e Berlinguer avesse avuto ragione il primo.
Un vizio questo di noi italiani che ci dividiamo sempre in tifosi e di conseguenza diventiamo manichei. Perché Berlinguer e Craxi sono stati una cosa e l’altra. Del numero uno di Botteghe Oscure si elogia l’onestà, l’attenzione ossessiva alla questione morale, l’intuizione del compromesso storico seppur mai compiuta anche e soprattutto a causa dell’assassinio di Aldo Moro, lo strappo con Mosca (comunque troppo prudente), ma si dimentica l’incapacità di cogliere le trasformazioni della società di quegli anni e l’assurdo arroccamento nel mai nato eurocomunismo degli ultimi anni.
Al capo di via Del Corso, al netto di Mani Pulite, pochi attribuiscono il pesante incremento del debito pubblico causato dai governi che ha presieduto. Il bengodi dei favolosi e rimpianti anni ’80 continuiamo a pagarlo a caro prezzo, nonostante l’impegno per combattere l’inflazione con il celebre taglio di tre punti della scala mobile, proprio l’ultima battaglia che aveva visto contrapposto Berlinguer a Craxi. Infine non si può certo elogiare un leader politico che determina la fine del proprio partito, ancor di più se si tratta del glorioso Psi con la sua storia centenaria. E certo non fa onore a Bettino, la scelta, anche se determinata dalle circostanze, di abbandonare la strategia dell’alternativa di sinistra (e con essa il sogno di diventare il nuovo Mitterrand, presidente eletto direttamente dal popolo e con i voti comunisti) per intrupparsi nel Caf con Andreotti e Forlani. Proprio quelle circostanze sono la “sliding door” tra Craxi e Berlinguer. Cosa sarebbe accaduto alla politica e al paese se, grazie a un impossibile accordo tra i due, l’alternativa avesse preso forma? Verrebbe anche da chiedersi se, in quel caso, ci sarebbe stata Mani Pulite a prescindere delle concause macrostoriche come la caduta del muro di Berlino. Invece è finita che le scelte politiche dei due leader hanno segnato il loro declino e quello dei loro partiti. Perché una volta finito il Psi, i posti comunisti hanno tentato di prenderne il posto. Ma la somma dei presunti voti, per dirla con Totò, non ha fatto il totale, nonostante i tentativi portati avanti soprattutto da Massimo D’Alema. E la prospettiva di una sinistra di governo in Italia è finita su un binario morto.
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