La svolta di Occhetto occasione perduta

In pochi forse se lo ricordano. Ma il 12 novembre di 35 anni fa, nel 1989, è accaduto un evento che ha inciso non poco sulla politica italiana e non solo. Quel giorno, era una domenica, il segretario del Pci, Achille Occhetto si era recato alla sezione Bolognina del partito per celebrare il quarantacinquesimo anniversario della battaglia di Porta Lame, un episodio della Resistenza italiana combattuto in alcuni quartieri di Bologna, davanti ai veterani di quella vicenda. Pochi giorni prima, il capo del più importante partito comunista dell’Occidente, si trovava a Bruxelles per un colloquio con l’allora leader dei laburisti britannici, Niel Kinnock, a cui intendeva chiedere il “via libera” per l’ingresso nell’internazionale socialista. I due erano stati interrotti da un evento trasmesso in diretta dalla televisione: il crollo del Muro di Berlino, la frontiera più simbolica della guerra fredda. Non fu difficile immaginare l’effetto di quelle immagini su Occhetto che, nel discorso pochi giorni dopo, aveva parlato della necessità di rinnovare un partito che non aveva più la necessità, anzi, di mantenere gli invero pochi riferimenti rimasti al socialismo reale. Poi, davanti a una domanda di un giornalista dell’Ansa, il numero uno del Pci aveva dato la risposta più dirompente: quella del cambio del nome.

Una notizia che aveva colpito al cuore la gran parte dei militanti, anche se molti di loro, con rammarico, avevano preso consapevolezza dell’esigenza di una “svolta”. Certo si erano formati due fronti in aperto conflitto tra loro, con antiche amicizie spezzate e psicodrammi in quantità industriale (da rivedere il film di Ettore Scola “Mario, Maria e Mario”). Una situazione poi riprodotta nel corpo del “partitone rosso” che aveva portato a dibattiti infiniti, alla scissione dei cossuttiani che avevano dato vita a Rifondazione comunista e a due drammatici e tesi congressi. Tale era il livello dello scontro che, nelle seconde assise, era mancato il numero per l’elezione di Occhetto a segretario. Uno schiaffone clamoroso poi solo in parte rientrato. Dal Pci era nato il Pds, diventato poi Ds e infine confluito nel Pd assieme alla Margherita e ad altri soggetti politici minori.

L’impressione è che le lacerazioni della “svolta” che si erano prodotte anche nell’ampia maggioranza che aveva sostenuto Occhetto, siano rimaste anche nella pancia degli attuali Dem e restino alla base di tutti i problemi di un partito che, fin dalla sua nascita, fatica a trovare una linea chiara e condivisa. Ne hanno fatto le spese una teoria infinita di segretari che forse solo ora si sta estinguendo grazie alla determinazione di Elly Schlein, il cui destino però resta legato ai risultati elettorali e alla capacità di costruire e governare alleanze vincenti.

Tornando alla “svolta” di 35 anni fa, sembra ,e non ce ne voglia Occhetto, che sia pure sull’onda degli eventi aveva dimostrato un coraggio che i suoi predecessori non erano mai riusciti a manifestare, impedendo così la possibilità di far nascere anche in Italia un’importante forza socialdemocratica, che sia stata un continuo inseguire gli eventi rimanendo in balia delle onde. Un dato che caratterizza anche l’attuale Pd. E comunque anche dopo il dirompente percorso avviato dall’ultimo segretario del partito nato nel 1921 dalla scissione socialista di Livorno, non è stato possibile costruire quella forza riformista sul modello europeo che l’Italia ormai non vedrà mai, visto che anche questa forma politica è in crisi. Certo, all’epoca il Partito Socialista Italiano era stato falcidiato da ManiPulite, ma gli eredi del Pci non sono stati neppure in grado di sfruttare questa situazione e ancora non si capisce del tutto il perché. Da qui il percorso che ha portato, appunto, alla nascita dei Dem italiani, una fusione a freddo di due culture politiche che, lo dimostrano numerose circostanze, non sono riuscite ad amalgamarsi. E in molti permane una nostalgia canaglia del Pci e anche della Dc.

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