L’aggressione russa all’Ucraina ha gettato in faccia all’Europa il dramma della guerra. È stato uno vero choc per un continente assuefatto alla pace e convintamente polemofobico, ostile alla guerra. Settant’anni di pace hanno persuaso l’area del mondo, che per secoli è stato il teatro privilegiato di atroci conflitti, culminati in due spaventose guerre mondiali, di avere chiuso definitivamente con la guerra. Certo, non sono mancati in questa seconda metà del Novecento conflitti, sparsi un po’ in tutto il globo, ma fino al 24 febbraio dell’anno scorso l’Europa ne era stata risparmiata.
Il brusco risveglio, procuratoci dall’attacco russo a Kiev non c’ha spinto, però, a prendere atto in modo assoluto della tragica realtà della guerra. Ci siamo limitati a invocare una pace di cui non abbiamo , peraltro, nè la forza né gli strumenti per imporla.
Evidentemente noi, abitanti del continente che vanta la più imponente collezione di conflitti del pianeta, preferiamo continuare a nascondere la testa sotto la sabbia e fare della guerra un tabù. Non riusciamo a guardare in faccia la realtà. Non prendiamo coscienza di come il problema della guerra e della pace si sia posto nella storia e di come si sia evoluto fino ai nostri giorni.
Basterebbe l’amara constatazione che la storia dell’uomo è stata caratterizzata da una serie ininterrotta di guerre per porci sull’avviso che il compito di creare una pace perpetua non è di quelli che si risolvono con la buona volontà e i nobili ideali. Ma c’è di più. Un grande politologo americano, Charles Tilly, ha ben illuminato la portata di questa sfida con un folgorante aforisma: “lo Stato fa la guerra, la guerra fa lo Stato”.
Insomma, la guerra non è la patologia, ma la fisiologia dello Stato. Questo monopolizza la forza all’interno di una società, garantendo l’ordine, mentre la esercita liberamente all’esterno creando disordine. In campo internazionale è mancata fino a un secolo fa un’istituzione che, al pari dello Stato nazionale, si proponesse di congiurare il ricorso alla violenza.
L’idea di bandire per sempre la guerra è figlia del pensiero democratico. La nobilitò Emmanuel Kant con il suo scritto “Per la pace perpetua” del 1795. Ci volle, però, l’orrore della prima guerra mondiale perché si desse vita a una prima istituzione internazionale, la Società delle Nazioni, che si ponesse il compito di assicurare un ordine mondiale senza guerre. Abbiamo visto, purtroppo, con scarsa efficacia. La corsa alle armi, sorretta addirittura dall’esaltazione della guerra, che contrassegnò gli anni Trenta del secolo scorso, ci ha insegnato che senza democrazia, senza una sovranità esercitata da Stati politicamente responsabili e da governanti revocabili, non ci sia futuro per la pace.
C’è voluta una seconda guerra mondiale per portare alla creazione di un ordine (auspicato dalla Carta Atlantica sottoscritta nel 1941 da Churchill e Roosevelt e stabilito dalla Dichiarazione dei diritti umani del 1948) che scongiurasse le aggressioni interstatali. Appunto quell’aggressione che ha osato effettuare Putin invadendo l’Ucraina.
È lo Stato democratico ad aver pacificato le società allontanando lo spettro della guerra civile. Per ottenere lo stesso risultato nella vita internazionale bisognerebbe che s’imponessero anche su questo fronte la regola e la cultura della democrazia.
Il cammino, avviato nel Novecento per pacificare la società internazionale, è stato ora interrotto dalla volontà di potenza di uno Stato dispotico, com’è la Russia di Putin. È la conferma che non può esserci la pace senza la democrazia, la sola forma di governo delle società che regola i conflitti, espungendo la violenza dalla vita collettiva.
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