La triste verità
sulla Terza Repubblica

Ce la siamo meritata la repubblica della gente. La repubblica del popolo. La repubblica delle piazze. La repubblica dei moralisti, degli indignati, dei censori, dei cultori del sospetto, degli uomini qualunque, soprattutto. Ci abbiamo messo un sacco di tempo, facendo due conti quasi trent’anni, ormai. Ma alla fine, eccola qui.

Si sta inevitabilmente parlando molto di “Hammamet”, il nuovo film di Gianni Amelio dedicato all’ultimo scorcio della vita di Bettino Craxi e uscito nelle sale per il ventennio della scomparsa del leader socialista, una delle figure più controverse e di certo più odiate della storia italiana.

Ora, il punto non è tanto il valore intrinseco dell’opera, quanto invece l’occasione che offre per tornare su uno snodo centrale non solo della vita politica, ma anche e soprattutto culturale, antropologica del nostro paese. La fine dell’ex presidente del Consiglio - da condannato e latitante - e tutto il percorso iniziato con la pseudo rivoluzione giudiziaria di Manipulite non è importante di per sé, su questo punto ci sono gli atti giudiziari che parlano, quanto per quello che ha rappresentato. E cioè il disegno - pienamente raggiunto, non c’è che dire - di rileggere tutta la storia recente dell’Italia sotto un’unica chiave di lettura. Quella di una storia criminale. Interamente criminale. Criminale lui. Criminale il suo partito. Criminali gli altri partiti, anche se il Pci si illuse di salvarsi da quella gogna, per poi pagarne il prezzo qualche anno dopo, venendo integralmente identificato con la casta. Criminale tutto il sistema che aveva governato dal dopoguerra fino all’inizio degli anni Novanta.

Perché lì era il marcio, lì lo schifo, lì il regime, lì i salotti, lì la stanza dei bottoni. Nelle istituzioni e nelle strutture di intermediazione, nei loro gendarmi, nei loro servizi deviati, nei loro servi, nei loro lacchè. Tutto un sistema mafioso, omertoso, occhiuto e paternalista che teneva sotto schiaffo, a servizio, a catena, l’immensa marea montante delle persone comuni, della gente perbene, degli umiliati e offesi nella quale era invece racchiusa la vera saggezza, la vera purezza, la vera verità rivelata che cercava solo il momento giusto per manifestarsi. Cosa credete, che le pagliacciate digitali di Salvini, Di Maio e Renzi arrivino da Marte o piuttosto che caschino giù dalla pianta della demagogia gentista che ha radici lunghe e diffuse che vanno ben oltre Berlusconi - un fuoriclasse del genere - e affondano i loro denti avvelenati proprio nel terrore manettaro di quegli anni, in particolare modo del 1993, raccontato e vellicato e propagandato e sbrodolato a piene mani da un sistema dell’informazione che anche in quel frangente non ha perso occasione per dimostrarsi per quello che è?

Ma quelli rubavano, si dirà. E certo che rubavano. Rubavano di brutto. Si mangiavano pure le gambe del tavolo. Però non tutti, anche se molti. E spesso e volentieri “solo” per foraggiare il partito e non per fini personali e sul tema dell’ipocrisia del finanziamento della politica proprio Craxi - in quel suo ultimo memorabile intervento alla Camera - ha detto parole definitive. Ma se è così, ed era così, perché mentre un Martinazzoli leggeva Manzoni cento Gava vagolavano a caccia di appalti come termiti indemoniate, si sarebbe dovuto procedere inquisendo e sanzionando i singoli episodi e i singoli politici - anche se fossero mille, anche se fossero un milione - e poi li si sarebbe dovuti condannare dopo regolare processo. Non utilizzare invece questa occasione per fare piazza pulita non tanto di quei partiti, non tanto dei partiti, ma della politica in quanto tale, da lì in avanti ridotta ad ancella tremebonda e frignante della prima procura che passa per la via e, soprattutto, succube della demagogia della cosiddetta gente, della cosiddetta piazza, del cosiddetto popolo, del cosiddetto uomo della strada. Se si applicasse alla storia una lente esclusivamente giudiziaria, allora non si salverebbero neppure Crispi e Giolitti. Neppure De Gasperi e Togliatti. Ma vogliamo ragionare davvero così? Ma crediamo davvero che sia corretto e legittimo? Ma il contesto storico non conta proprio niente per i ventriloqui del fariseismo giustizialista?

Se pensate che basti aprire i microfoni al mercato del pesce per cogliere l’essenza essenziale della democrazia, per abbeverarsi alla fonte sempiterna della saggezza popolare, per mettersi in sintonia con i movimenti profondi del paese reale, per donare speranza e futuro e prospettive e sviluppo e ricchezza agli ultimi e ai penultimi perché tutti sono uguali, tutti possono fare tutto, tutti possono ambire a tutto visto che uno vale uno e bla bla bla, beh, sappiate che non è così.

Se invece pensate che questa non sia altro che una buffonata, una cialtronata, una roba che fa schifo, che fa vomitare, un grande inganno che millantando di donare il potere a tutti invece non fa altro che plasmare una massa indistinta, gassosa, ululante, sprovveduta, ottusa che aspetta di essere indottrinata e ingozzata dal demagogo di turno che ti sbraita addosso solo quello che vuoi sentire e cioè che è sempre colpa di qualcun altro - del babau, delle multinazionali, di lorsignori e tutto il resto delle fregnacce al seguito - beh, sappiate che è così.

La triste verità è che i politici della prima Repubblica pensavano e parlavano meglio dei loro elettori. I politici della seconda Repubblica pensavano e parlavano come i loro elettori. I politici della terza Repubblica pensano e parlano peggio dei loro elettori. Non che mancassero analfabeti e poveracci e traffichini e miracolati e bonazze e leccapiedi pure prima, per carità, che abbiamo visto prodigiose carriere politiche - e giornalistiche - a colpi di lingua che non ci si può credere. Ma questi diventavano parlamentari “nonostante” fossero analfabeti e poveracci, adesso “perché” sono analfabeti e poveracci. E questa sì che è la vera cifra dei tempi nuovi, altro che Craxi.

DiegoMinonzio

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