Certo, vedere il principe dei manettari autoflagellarsi sulla retorica della galera a prescindere e fare esercizio di contrizione e voto di castità garantista per il futuro è uno spettacolo davvero da vergognarsi, anche perché il giustizialismo è il becchime di cui si è nutrita la politica - tutta - negli ultimi trent’anni.
Ma, insomma, nella vita c’è pure di peggio. Mai stati a cena con un giornalista sportivo? Questo curioso personaggetto, che generalmente si contraddistingue per la patacca di ragù sulla cravatta e la tendenza a distrarsi al momento del conto, è una delle metafore più immortali e imperiture di questa nostra meravigliosa categoria, che in quanto a cultura generale, conoscenza della grammatica e della sintassi, spirito critico - e voglia di lavorare - non prende lezioni da nessuno. Non sono tutti così, naturalmente, guai a generalizzare - nel nostro giornale, ad esempio, abbiamo almeno un paio di fuoriclasse che si occupano di sport - ma lo spettacolo che viene offerto quotidianamente dal mainstream pallonaro è proprio questo. Puro cabaret a reti unificate.
L’ultima prova strabiliante della competenza tecnica, dell’indipendenza di giudizio e dell’assoluta equidistanza da ogni gruppo di pressione ce la siamo gustata nei dieci mesi passati da Andrea Pirlo, formidabile ex calciatore, alla guida della Juventus. Ragazzi, è bastato l’annuncio divulgato dalla Real Casa alle genti che l’allenatore appena nominato della Under 23 bianconera e senza alcuna esperienza su una panchina di qualsiasi categoria era stato immediatamente promosso - un po’ come Fantozzi dal duca conte Semenzara dopo una vincita al Casinò di Montecarlo - allenatore della prima squadra, un vero azzardo mai corso prima nella storia della società torinese, per far partire all’unisono da parte dei cronisti e degli opinionisti più fighi del bigoncio, gente dura come il molibdeno e abituata a non guardare in faccia a nessuno, il feroce vaglio critico, la spietata stroncatura deontologica, l’implacabile conteggio dei rischi connessi a una scelta del genere.
E bravi e geniali e fenomeno e Maestro e intelligenza superiore e metronomo prima in campo e ora in panca e innovatore che manco Guardiola e carismatico che manco Mourinho e puntiglioso e organizzatore che manco Klopp e grintoso e martello motivazionale che manco Conte ed empatico, semplice e onesto che manco Trapattoni e Ancelotti e signore che manco Liedholm e finalmente si gioca all’attacco, mica come quel catenacciaro di Allegri e quel buzzurro di Sarri, e che schemi e che ripartenze e che copertura degli spazi e si attacca in dieci e ci si difende in dieci e che esaltazione delle qualità del singolo all’interno della coesione del gruppo e bravo mister e bravo presidente, evviva evviva, ogni articolo una colata di bava argentata, ogni commento una spuma di zucchero e miele, ogni intervista sulle magnifiche sorti e progressive del nuovo totem della Continassa una carie ai molari, ogni superlativo sull’immortale saga degli Agnelli una botta di colesterolo e trigliceridi. E quanto è alto Pirlo e quanto e bello Pirlo e quanto è elegante Pirlo e quanto la sa lunga Pirlo e come svolazzavano e piroettavano e pigolavano e squittivano le torme di cherubini e serafini sfarfalleggianti attorno al mister più trendy che c’è.
Adesso Pirlo è diventato un coglione. Un poveraccio. Un fallito. Uno scappato di casa. Quella pippa di Pirlo. Quel chiodo di Pirlo. Quell’incompetente di Pirlo. Quel senzapalle di Pirlo. Quel pirla di Pirlo, che ancora un po’ manca solo che arrivi l’allenatore in seconda dell’Aci Catena a prenderlo a gatti morti in faccia. Pirlo chi? E i nostri Pulitzer, i nostri editorialisti tutti d’un pezzo, i nostri trinciagiudizi che infestano da mane a sera televisioni, radio, siti e fogli quotidiani con le loro acutissime analisi sulla difesa a tre nel campionato inglese degli anni Novanta e sull’innovativo uso della diagonale nel Chievo di Del Neri e che per mesi e mesi avevano regalato al popolo bue e al tifoso medio avvinazzato da fiaschetteria commoventi elegie sulle gesta di Pirlo in campionato - insabbiando con rara perizia le figuracce con Fiorentina, Crotone, Benevento eccetera - e sulle eroiche imprese in Champions, storica tradizione della casa, relegando a pagina 27 la grottesca eliminazione con il Porto, un secondo dopo il ritorno di Allegri - insultato a più non posso quando era caduto in disgrazia - avevano già eseguito uno spettacolare triplo salto della quaglia.
E loro lo avevano sempre detto che Pirlo era un azzardo, una scelta sbagliata, una decisione inopportuna e che mattana mettere un ragazzino alla guida di uno squadrone come quello, ma d’altronde il Grande Presidente è fatto così: ha un cuore d’oro, è un generoso, un pezzo di pane, si è fatto tradire dai sentimenti e via slinguazzando come dei formichieri a caccia di termiti. Tutto già visto mille volte, tra l’altro. E che aggiunge poco o nulla al profilo dell’incolpevole Pirlo, trovatosi catapultato dentro una storia molto più grande di lui, e tanto meno dell’efficacissimo e spigoloso Allegri, che infatti i giornalisti sguatteri è solito prenderli a pesci in faccia. Ma che la dice lunga, lunghissima, su quel po’ po’ di categoria che siamo, che magari scrive paginate e paginate sui debiti chilometrici della squadra tal dei tali e invece solo nove righe sui debiti ancor più chilometrici della squadra degli amici degli amici. Chissà come mai…
E non siate così ingenui a pensare che questa sia una faccenda solo di sport. Perché, tra una risata e un’altra, se togliete Ronaldo e mettete Draghi, se togliete Donnarumma e mettete Salvini, se togliete Lukaku e mettete Letta o chi volete voi, l’approccio è sempre, desolatamente e pagliaccescamente quello: o da tifoso o da servo o da inetto. Quindi voi leggeteli pure, questi signori, e ascoltateli anche sdottoreggiare di questo e di quello: basterà poi pensare l’esatto contrario per avvicinarsi di molto alla verità.
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