Questa volta sarà davvero un voto solo “locale”? Perché si sa, quando ci sono elezioni comunali o regionali gli avversari del governo nazionale in carica, in caso di successo, cercano di usare il voto come grimaldello per delegittimarlo. Il caso più eclatante è quello di Massimo D’Alema che, nel 2000 fu costretto a lasciare palazzo Chigi dopo essersi intestato un trionfo alle regionali che invece diventò una disfatta.
I sostenitori della maggioranza parlamentare invece, sfruttano l’eventuale vittoria per blindare presidente del Consiglio e ministri. Adesso con Draghi e la coalizione omnicomprensiva salvo Fratelli d’Italia, sarà difficile strumentalizzare la scelta dei sindaci di Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna e molti altri centri più piccoli. Anche perché l’attuale premier sembra aver “congelato” ogni ipotesi di futuro politico diverso da quello attuale.
Insomma, ed è un paradosso se vogliamo, quelle di ottobre saranno elezioni anomale che varranno per quello che devono essere: cioè la scelta delle persone in grado di gestire al meglio possibile le città e i paesi in cui si voterà, a partire dalla capitale d’Italia. Quest’ultima, dove secondo le previsioni l’esito è più incerto che altrove, potrà diventare l’ago della bilancia per decretare il successo nazionale del centrodestra o del centrosinistra, più che mai effimero e privo di alcun effetto concreto.
Il ragionamento però vale sono per le forze politiche, perché si sa che i cittadini, anche quando si trovano di fronte a un’elezione comunale tendono a far pesare comunque anche l’appartenenza politica. Non a caso, nella ricerca dei candidati sindaco si tende sempre a puntare su personalità in grado di “spostare” voti da uno schieramento all’altro.
Per questo ci sarà un altro fattore rilevante in questa consultazione che arriva agli sgoccioli di una campagna vaccinale che ha scombinato non poco le carte delle forze politiche. In particolare, la sinistra che ha sempre storicamente difeso le libertà questa volta sè schierata, in tema di Green pass e obbligo più o meno surrettizio delle “dosi”, per limitarla. Anche a costo di mettere a repentaglio una parte del consenso che di solito le attribuisce il blocco sociale del personale scolastico.
Al contrario la destra, sia pure con parecchi distinguo, sembra essersi collocata sul versante libertario dei “no pass”. Più di tutti, e certo anche perché sta all’opposizione, il movimento di Giorgia Meloni. Forza Italia dopo qualche tentennamento ha virato verso la stretta sul certificato verde. La Lega ha ondeggiato un po’ qui e un po’ lì salvo poi, con il suo segretario Matteo Salvini, trovare la quadra nella posizione favorevole al Green pass indispensabile per svolgere alcune attività della nostra vita personale, sociale e professionale, ma non sull’obbligo dell’iniezione per tutti. Del resto, la prospettiva della federazione di centrodestra che vuole essere soprattutto il principale sostegno dell’azione di Draghi non consente di scoprirsi troppo su una delle questioni più importanti del dibattito politico. Si tratta di capire adesso, se gli elettori valuteranno, com’è probabile, anche questi cambiamenti per orientarsi nel voto.
Più che mai a essere messi alla prova saranno anche i sondaggi che, se letti con attenzione danno l’idea di un’Italia spaccata in due e molto meno tripolare del periodo in cui il Movimento Cinque Stelle aveva segnato una significativa affermazione. Vedremo se il voto nei Comuni confermerà o meno questo orientamento. Di certo vi è solo che Mario Draghi e la sua squadra potranno guardare con curiosità o disinteresse quel che uscirà dalle urne, ma al contrario dei loro predecessori, senza alcun pathos.
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