Lino Banfi: l’esempio del comico nel dolore

Non è che fosse un umorismo finissimo, alla Woody Allen o alla James Thurber. In cambio, faceva ridere. Oggi, visto attraverso il cannocchiale del tempo, oltre a sorrisi suscita anche nostalgia.

La formula dei film che vedevano protagonista Lino Banfi (e altri attori come Renzo Montagnani e Alvaro Vitali) era furbetta ma soprattutto semplice. L’Edwige o la Gloria di turno (senza dimenticare la Nadia: eh, la Nadia) facevano una doccia nel primo tempo e una nel secondo; per tutto il resto del tempo cercavano di scrollarsi di dosso una turba di mascalzoni sovreccitati (“ingrifeti”, secondo il gergo banfiano) - presidi di scuola, insegnanti di ginnastica, colonnelli comandanti del distretto – per cedere infine al giovane belloccio di turno.

Lino Banfi su queste pellicole ci ha costruito una carriera che poi, per successive correzioni di rotta, ha diretto verso il piccolo schermo nel quale, molto meno “ingrifeto” e molto più bonario, si è conquistato la fiducia del pubblico anche fuori dal vietato ai minori. E’ triste, ma significativo, che la parte più difficile gli sia toccata ora, a 86 anni. Una parte dal vero, purtroppo: quella del vedovo. La moglie, signora Lucia Lagrasta in Zagaria (vero cognome dell’attore) si è spenta a 85 anni, dopo aver vissuto con il suo Lino per più di sei decenni. Un addio incominciato prima, quando si erano manifestati i sintomi dell’Alzheimer, male progressivo che, come sappiamo, finisce spesso per giocare all’ammalato lo scherzo più crudele: cancellare le persone care dalla memoria.

All’idea, Lino Banfi si era fatto scudo con il coraggio della battuta: “Quando non mi riconoscerà più, vorrà dire che ci presenteremo”. Dentro, però, aveva certamente sentito la portata di una tragedia incombente: quella della separazione definitiva. Tanto che aveva scritto al Papa, avanzando una richiesta singolare, ben sapendo quanto fosse impossibile da esaudire: “Non sarebbe possibile andarcene insieme, nello stesso momento, tenendoci per mano, come sempre abbiamo fatto nella vita?” Una richiesta che l’attore ha trasformato in battuta universale, una riga che ritorna nel copione terreno di molti di noi. Perché spesso la vita finisce per dar ragione ad Aristofane, il quale nel “Simposio” di Platone spiega come gli uomini fossero un tempo formati da due metà complementari unite tra loro, che solo per vendetta Zeus ha voluto separare. Così, l’uomo passa la sua vita a cercare la metà che ha perduto. Aristofane non aggiunge che quando pure la trova, poi interviene la biologia a sottrargliela di nuovo. È a questo punto che la commovente domanda di Banfi esprime il disperato sentimento di tutti.

Il Papa gli ha risposto con un messaggio letto nel corso nella cerimonia funebre di Lucia: “I nonni sanno essere forti nella sofferenza, e tu sei il nonno di un’intera nazione”. Se è lecito aggiungere una chiosa alle parole di Francesco, oltre che nonno Banfi è oggi più che mai interprete: riveste infatti il ruolo dell’uomo che perfino nel dolore – anzi, soprattutto nel dolore – dà testimonianza dell’amore durevole, quello che nel corso degli anni si trasforma e si aggiorna. Da passione diventa concordia, alleanza, impegno e infine comunione assoluta.

E’ curioso che l’uomo simbolo di questo tipo di amore sia la stessa persona che, sullo schermo, inseguiva con farsesca ostinazione la scappatella passeggera con l’Edwige o la Gloria di turno (e la Nadia, non dimentichiamo la Nadia). Ma si sa, sono soprattutto i comici che, nelle ultime scene, dopo tante risate, riescono meglio di tutti, anche solo con uno sguardo, a sintetizzare la malinconica tragicità dell’esistenza umana.

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