Lo sportivo che vince
soltanto sul divano

Lo sportivo da divano è un personaggetto davvero spassoso. Appena si inaugura il grande evento agonistico estivo - Mondiali di calcio e Olimpiadi, soprattutto - segna con la sua presenza carismatica le tre settimane di competizione. È lui l’anima della festa. È lui che detta l’agenda. E’ lui che separa il grano dal loglio. È lui che, pontificando e vaticinando su argomenti che gli sono del tutto sconosciuti, modella l’orizzonte collettivo dell’italiano medio e poi, sapientemente, lo sparge nei mille rivoli evangelici della comunicazione digitale.

Ad esempio, la parola d’ordine di questi giorni è dare del pirla agli atleti italiani impegnati nella travagliatissima Olimpiade di Tokyo. Ma non agli atleti in genere. No. Proprio agli atleti che sono riusciti a salire sul podio. E insomma, s’indigna lo sportivo da divano dall’alto della sua specola onnisciente, ma come si fa, ma è uno scandalo, ma è una vergogna, ma siamo ormai a metà del programma e solo due ori nel medagliere e siamo scivolati al sedicesimo posto in classifica, siamo dietro pure a quegli scappati di casa della Repubblica Ceca, ed è una cosa inaccettabile, è l’anno zero della nostra federazione, ed è tutto sbagliato, è tutto da rifare, è tutto da rifondare e che fuffa le otto medaglie d’argento e che schifo le quattordici medaglie di bronzo, roba che in un paese serio uno se le toglierebbe subito dal collo, guardate la Cina, invece, e il Giappone e l’Australia e gli Stati Uniti, e dove andremo a finire, signora mia, e bla bla bla…

In pratica, un poverocristo che si allena tutti i giorni dell’anno, festività incluse, per quattro anni, e ore e ore di fondo e di ripetute e di tecnica individuale e di tattica di squadra, generalmente in uno sport dove non gira il becco di un quattrino e dal quale gli sponsor scappano a gambe levate, e grazie al cielo che lo stipendio glielo passa il corpo di una delle nostre forze dell’ordine, altrimenti sarebbe già finito alla San Vincenzo, e a forza di talento naturale, tanto, e di perseveranza, tantissima, diventa il migliore nel suo club e poi il migliore ai campionati provinciali e poi il migliore ai regionali e poi il migliore ai nazionali e poi partecipa a meeting e competizioni, anche internazionali, e magari ogni tanto vince pure. E poi, sempre più bravo e sempre più perseverante, si qualifica alle Olimpiadi - alle Olimpiadi! ma ci rendiamo conto? chiunque abbia fatto sport darebbe il sangue anche solo per arrivare ultimo alle Olimpiadi! - e passa il primo turno e poi il secondo e poi il terzo e arriva alle semifinali e alle finali e, purtroppo, non vince per tanto così, per un centimetro, per due secondi, per un punto in meno dei giudici dopo essersela battuta alla pari con i migliori di tutto il resto del mondo, che a loro volta hanno fatto sacrifici mostruosi, inenarrabili per svettare in sport durissimi e “plebei” come il sollevamento pesi e la lotta e lo judo e il tiro con l’arco e il tiro al piattello eccetera e nonostante questo si porta a casa una medaglia d’argento o di bronzo – una medaglia olimpica! ma vi rendete conto? cosa darebbe ognuno di noi per vincere una medaglia olimpica? – e così, alla fine, il poverocristo di cui sopra se ne torna in patria tutto orgoglioso e certo dell’affetto e della stima dei suoi amati connazionali. E invece - sapete che c’è? - si prende pure del coglione perché non ha vinto l’oro. Tutto vero.

E non è neppure finita qui. Perché, al solito poverocristo di cui sopra, tocca pure di venire sbertucciato da alcuni milioni di curiosi personaggi - tutti talmente sportivi da riuscire nell’impresa di valore europeo di strapparsi un polpaccio scendendo dal canapè - che mentre pontificano su questa brutta Italia che non sa più soffrire e che non regala alla sue genti i campioni di una volta – ah, quando c’era Klaus Dibiasi… ah, quando c’erano i fratelli Piero e Raimondo D’Inzeo… ah, quando c’era Ondina Valla… – esibiscono al Bagno Amerigo di Torre Pedrera un trionfo di panze cubitali, sederoni flaccidi, cosce budinose, pappagorge violacee, nasi, menti, dentoni, pelate, trippe in continua ed inquietante espansione e tutto il resto delle grottesche mostruosità lombrosiane di questo popolo di santi, poeti, navigatori e maratoneti della domenica.

D’altronde, mai nulla accade per caso. Cosa potevamo aspettarci di diverso da una nazione che storicamente non possiede il minimo senso della cultura sportiva e che infatti, in anni non sospetti, è stata capace di andare all’aeroporto per accogliere a pomodori in faccia la nazionale di calcio, rea, dopo aver eliminato la Germania nella partita più iconica della storia, di aver osato perdere la finale della Coppa Rimet con il migliore Brasile di sempre? E dire che a venti minuti dalla fine la sfida era ancora sull’uno a uno e, come ricorda Gianni Brera in uno dei suoi incisi memorabili, i fenomeni brasiliani si erano talmente spaventati dopo il pareggio di Boninsegna che all’intervallo negli spogliatoi piangevano come vitelli: l’arbitro non era dalla loro parte ed erano sgomenti all’idea di avere la peggio contro i temibili contropiedisti italiani. Per non parlare di cosa succede ai malcapitati calciatori (ad esempio quelli della Juventus, i più abituati di tutti…) quando perdono la loro solita finale di Champions, magari contro lo squadrone di Messi o quello di (una volta) Cristiano Ronaldo. Bisogna farli andare in giro con la scorta…

E quando si salda l’alleanza tra lo sportivo da divano – “avete visto quella pippa della boxe femminile che ha perso in semifinale? ah ah ah…” - e il giornalista sportivo, che dello sportivo da divano è il ventriloquo, la metafora, il sacerdote sommo e assoluto, allora il gioco è fatto. Entrambi non hanno mai fatto sport. Entrambi non sanno niente di sport. Entrambi, quindi, parlano solo di sport. Entrambi esibiscono panze - quelle sì - da medaglia olimpica. Non c’è niente da fare: lo sport è una roba troppo seria per lasciarla agli sportivi.

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