L’utero in affitto e i silenzi assordanti

E le femministe? E le magnifiche sorti e progressive del femminismo quattropuntozero? E il #metoo? E le sbandierate e le piazzate e le intemerate accaldate e scarmigliate su guai a chi attenta e svilisce e umilia e marchia a fuoco il sacro corpo delle donne e la loro ancor più sacra dignità intoccabile, inviolabile e invalicabile?

Dove sono finite tutte queste eroine meravigliose che inondavano i giornali e le televisioni e i social con le loro battaglie battagliere e battaglianti sulla parità di genere, che ci avevano talmente appassionato da immaginare che non avremmo mai più potuto farne a meno? Uno si guarda intorno e non le trova. Assordanti silenzi. Cespugli che rotolano nel deserto. Ossi di seppia sulla battigia. Memorie sbiadite di un recentissimo passato che procura anche qualche rimorso, come quando ci torna in mente un anziano parente che da troppo tempo non dà segno di sé (a proposito, come starà Emmeline Pankhurst?).

Tutte le nostre suffragette, le nostre valorose, le nostre amazzoni del nuovo pensiero paritario che hanno passato i mesi e gli anni a ululare e a pontificare e a salmodiare e che ce le hanno piallate, ce le hanno triturate, ce le hanno fatte a dadini con l’ukase che da ora in poi dagli a chi non avesse detto “la premier” e vergogna a chi non avesse scritto “la direttora” e infamia perenne a chi non avesse declamato “la notaia” – per non parlare dello “schwa”, della fluidità e della superiorità genetica, antropologica ed etica della donna e dell’inferiorità sessista e machista dell’uomo: tutte riflessioni fondamentali, niente da dire... - e che poi, alla certificazione che sganciando un bel centomila euro ci si affitta un utero e si usa una donna come un forno, come un microonde, come uno scaffale di un supermercato, tutte zitte. Il femminismo è fuori stanza.

Il tema è di una complessità gigantesca, eticamente drammatico, insomma, è il classico snodo di coscienza e di valori sul quale una politica degna di questo nome e una società che possedesse ancora il senso delle cose e, soprattutto, il senso del ridicolo dovrebbero esercitarsi e conferirgli una dimensione legale condivisa. Invece, al di là del pollaio televisivo che dobbiamo sorbirci quotidianamente, la cosa più impressionante è come la retorica pseudo femminista - che con il femminismo vero non ha nulla a che fare, sia chiaro, tanto è vero che tutte le militanti serie e storiche del nostro paese hanno bollato con parole di fuoco la pratica dell’utero in affitto - abbia eliminato il tema alla radice. La questione della maternità surrogata non è in agenda.

Perché è giusto così e basta. Perché è giusto che il desiderio legittimo di avere un figlio diventi automaticamente un diritto, perseguibile in ogni modo, a ogni costo e aggirando qualsiasi legge. E utilizzando come alibi i diritti sacrosanti e inviolabili dei bambini già nati, che non si toccano e sono totalmente garantiti al 100% con le leggi in vigore, checché ne dica la demagogia imperante. Demagogia dalla quale non è immune neppure la maggioranza di governo, con la sua scombiccherata legge sul reato universale, probabilmente anticostituzionale oltre che molto difficilmente applicabile.

Il tema vero è questa cultura imperante pseudo femminista, salottista, terrazzista, modaiolista e relativista che non ritiene degno di analisi il fatto che la donna che si presta – per bisogno economico o per condizionamento sociale o emotivo - a questa pratica diventa un oggetto, commercialmente gestito su scala industriale da vere e proprie imprese della riproduzione umana, attenti, non della procreazione, della riproduzione umana, e che trasforma la donna in un contenitore biologico, in un impastatore a comando che sforna il figlio progettato, attenti, non procreato, progettato, con tanto di cataloghi per la scelta e la selezione, contratti, avvocati, postille, controlli obbligatori, penali, eccezioni e tutto il resto. Tutto questo non è forse degno di una sacrosanta battaglia femminista?

E non è questione di etero o gay né di uomini o donne né di laici o credenti. E non è neppure questione di aggrapparsi penosamente al fatto che in qualche parte del mondo, come ad esempio in alcuni Stati degli Stati Uniti, questa pratica sia legale. Ma che vuol dire? Anche la pena di morte è legale in alcuni Stati degli Stati Uniti. Quindi, che facciamo, introduciamo la sedia elettrica pure in Italia? La questione vera è la dignità. Il rispetto dei diritti della madre e di quelli del bambino. Questo è il punto.

Il punto è che la deformazione del nostro pensiero ormai totalmente edonistico e consumistico pretende di veder soddisfatti tutti i propri desideri a prescindere dalla propria realizzabilità e dalla propria moralità. In questo modo, la libertà individuale diventa sopruso, diventa empito di possesso, diventa arbitrio e licenza e mercato. Una deriva ingigantita dal fatto soprattutto che siamo entrati in un’era nella quale il progresso scientifico, tecnologico e genetico, appunto, ormai scisso dalla sua radice etica, è talmente galoppante e inarrestabile dal poter permettere di fare tutto o quasi tutto. A pagamento, ovviamente.

Non credete alla favola retorica della maternità solidale, quella che prevede la disponibilità gratuita di una donna alla gestazione per altri. Si tratta di eventi rarissimi, statisticamente irrilevanti e che comunque non giustificano la trasformazione, anche a fin di bene, del concepimento e della nascita in un puro procedimento biologico, del bambino in un oggetto così come lo stravolgimento della maternità da dono a funzione commerciale: perché l’utero in affitto se lo possono permettere, come sempre, solo quelli che hanno i soldi, quelli che possono pagare, perché ci sarà sempre una donna povera costretta o disposta a vendersi e perché ci sarà sempre un ricco arrogante pronto a comprarsela.

Ma questa non è la storia del femminismo. Questa è la storia del mondo. Argomento forse troppo complesso per le testoline delle nostre statiste intente a sdottoreggiare su Instagram.

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