In pratica Giorgia Meloni ha fatto il verso al “Mi sono capita io” di Paola Cortellesi, nel rinfacciare ai giornalisti un atteggiamento fin troppo accondiscendente nei confronti di Mario Draghi, suo predecessore a palazzo Chigi, nel momento in cui a lei era stata avanzata l’assurda pretesa di rispondere a domande sulla manovra che decide il destino di tutti gli italiani. Un’istantanea che la dice lunga sulla decadenza della stampa, ma anche della politica.
Il premier in carica non ha tutti i torti perché certe scene viste alle conferenze stampa di SuperMario non erano dissimili dai cori servili verso i mega dirigenti orchestrati dal geometra Calboni nella saga di Fantozzi. Ma questo non la esime dai doveri che ha nei confronti dell’opinione pubblica, di cui i giornalisti restano ancora e non si sa per quanto la principale interfaccia nei confronti del potere. Per questo è un brutto cortocircuito quello che si è creato l’altro ieri nella sala stampa della presidenza del Consiglio.
L’evidente nervosismo di Giorgia Meloni, però, stride un po’ con quella sicumera e quel clima da “volemose bene” ostentato nel presentare l’austera manovra lampo. Sulla quale peraltro, e qui va aperta un’altra parentesi, la stampa dovrebbe essere un po’ coerente. Perché dopo aver osannato ogni batter di ciglia del solito Draghi, non puoi dare una connotazione negativa a un provvedimento che è ultradraghista, non fosse altro perché il precedente capo del governo non avrebbe potuto toccare più tanto il reddito di cittadinanza avendo i Cinque Stelle nella coalizione che lo sosteneva. In questo forse, l’attuale inquilina di palazzo Chigi ha scontentato parecchio i suoi alleati e rischia ora di diventare una donna sola o poco accompagnata al comando. Da qui forse quel po’ di stizza apparsa davanti ai taccuini spianati. Certo questa manovra non può fare felice Matteo Salvini, che ha tentato di intestarsi qualcosa dopo aver visto far carne di porco di tutte le sue promesse elettorali su flat tax e pensioni. E neppure Silvio Berlusconi rimasto fuori dal proscenio che secondo i retroscenisti, imputa al premier di aver avuto poco coraggio. In realtà Meloni, in questo affiancata dal ministro Giorgetti smarcatosi dal suo leader, ha fatto solo professione di realismo. Se già con queste scarne concessioni allo sperpero sulla tassa piatta (che peraltro grida un po’ vendetta vista dal lato dei lavoratori dipendenti) e sulla previdenza, Bruxelles annuncia un atteggiamento occhiuto, figurati se si fosse andati oltre. Caso mai a tutti andrebbe segnalato che la situazione dei conti dello Stato era ben nota. E magari certe ganassate in campagna elettorale si sarebbero potute evitare. Perché poi, se fanno testo i sondaggi, almeno per ora, la fiducia degli italiani nei confronti di Fratelli d’Italia, partito del premier continua a crescere a scapito, soprattutto della Lega. Questo renderà ancora più accentuata la solitudine di Giorgia da qui in avanti, perché Salvini e Berlusconi avranno ancora bisogno di visibilità oltre che della quotidiana dose di bicarbonato per mandar giù l’idea del presidente del Consiglio donna. Si vedrà quando la manovra arriverà in Parlamento quanti Vietnam saranno allestiti. Il rischio è di peggiorare un provvedimento che già non piace agli imprenditori e tantomeno ai sindacati. I rischi per Meloni sono davvero tanti e altri ne arriveranno su dossier come quello per l’autonomia, su cui è arrivato anche un segnale forte da parte di Sergio Mattarella dall’assemblea dell’Anci. Draghi, o chi per lui, insomma resta sempre nascosto dietro un angolo.
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