Meloni e gli amici nemici di Prodi

Una volta si aveva paura di Virginia Woolf (è il titolo di un celebre dramma poi portato sul grande schermo), adesso sembra che il “babau” sia diventato Romano Prodi. Come spiegare altrimenti il virulento attacco di Giorgia Meloni durante la festa di Atreju contro quello che è ormai un vecchietto piuttosto attivo, ma, a quanto pare, solo perché un medico gli avrebbe confidato che il fermarsi è un ottimo alleato dell’Alzheimer.

Per il resto, il due volte ex presidente del Consiglio, non appare più interessato alla politica, se non a quella economica che maneggia da par suo in sempre interessanti editoriali e profonde conferenze. Secondo la sua successora (si può dire così?) a palazzo Chigi, Prodi starebbe tramando nell’ombra per organizzare il centro cattolico da unire alla sinistra per riconquistare il potere.

Eh sì, il centro è tornato al centro (appunto della scena politica). Nonostante i due partiti che la rappresentano (Italia Viva di Renzi e Azione di Calenda in conflitto permanente effettivo tra loro) mettano assieme poco più del 5% dei voti potenziali.

Si vede che il loro è un centro scentrato e non quello che Ernesto Maria Ruffini (numero uno dell’Agenzia delle Entrate fresco di dimissioni) e il sindaco di Milano, Beppe Sala starebbero tentando di federare.

A quanto pare, secondo Meloni, pure Prodi, abituato alle scalate in bicicletta, vorrebbe cimentarsi nell’impresa. Quel che è certo è l’impatto del Professore, assolutamente divisivo. Chi lo ama lo dipinge come il miglior presidente del Consiglio degli ultimi trent’anni, per i nemici è l’ex boiardo di Stato che, alla guida dell’Iri, tra l’altro, avrebbe mandato in vacca l’Alfa Romeo, consegnandola nelle mani della Fiat per finire il lavoro. Di lui si è detto che “sprigiona bonomia da tutti gli artigli” e, in un certo momento, gli era stata appioppata la sgradevole etichetta di jettatore.

Un deputato dell’allora Alleanza Nazionale (movimento antenato di FdI) il giorno della caduta del suo secondo esecutivo aveva affettato la mortadella in Parlamento. Perché l’insaccato era il secondo soprannome di Prodi (il primo è Professore) forse per l’origine bolognese. Di lui si ricorda anche la vittoriosa prima campagna elettorale condotta in giro per l’Italia a bordo di un pullman, a cui un settimanale satirico affiancava come scorta, una Duna, vettura inguardabile prodotta ai tempi dalla Fiat, appunto.

Quel che è certo, vista la sua avventura politica è che Prodi non dovrebbe avere bisogno dei nemici. Gli basterebbero gli amici da cui guardarsi. Dopo la vittoria del 1995 contro Berlusconi (è stato l’unico a sconfiggere il Cavaliere e per due volte), il suo governo era stato affossato dalla sinistra radicale, sembra con la regìa occulta di Massimo D’Alema che ne aveva preso il posto. Nella successiva esperienza alla guida dell’Esecutivo, una “mission impossible” a capo di una coalizione che spaziava da Mastella a Rifondazione comunista e un programma da far invidia come mole a “Guerra e Pace”, era stato proprio il sor Clemente, lanciato contro di lui da un’offensiva giudiziaria e poco difeso dagli alleati a scrivere la parola fine di un’agonia che aveva visto subito buona parte della squadra remare contro. Memorabile la presenza di ministri alla manifestazioni contro il governo.

In sovrappiù c’è la candidatura alla presidenza della Repubblica, immaginata da Pierluigi Bersani, all’epoca segretario del Pd. Il Professore era impegnato in una missione istituzionale in Africa: aveva già chiamato la moglie Flavia per preannunciarle il rientro anticipato causa investitura quirinalizia, salvo ritelefonare il giorno successivo dopo che la carica dei 101 franchi tiratori nell’assemblea dei grandi elettori Dem avevano affossato l’ipotesi. Mistero anche qui sul regista, con i soliti sospetti rivolti a D’Alema e a Renzi, Insomma, Meloni può stare tranquilla. Anche se fosse, a mettere a posto Prodi saranno di certo i suoi “amici”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA