Meloni e la tenzone sul terzo mandato

Adesso Giorgia Meloni è come Virna Lisi: oggi, all’incontro di inizio anno con la stampa, può dire quello che vuole, non tanto per l’avvenenza della bocca come la diva, quanto per lo strepitoso successo politico del ritorno a casa di Cecilia Sala dopo la visita a Trump che tanti strali dall’Italia e non solo le aveva attirato addosso.

Ora c’è un’altra partita politica che attende il capo del governo: la questione del terzo mandato. Con ogni probabilità oggi il Consiglio dei ministri deciderà di opporsi alla ricandidatura di Vincenzo De Luca, l’esponente Dem inviso a Elly Schlein reduce da due mandati alla guida della Campania. Il che innescherà il previsto “effetto Zaia”. Anche il doge leghista del Veneto non vorrebbe lasciare la poltrona su cui è stato issato cinque anni con un consenso degno più della Bulgaria che non della Serenissima. Giorgia, però, forte dei risultati nelle più recenti elezioni politiche ed europee vuole prendersi la Regione, anche perché nessun esponente del suo partito ne guida una del Nord. E l’unica possibilità di cambiare cavallo è quella di azzoppare Zaia, che sarebbe il candidato naturale a vita per quel posto. I rischi però non mancano.

Certo appare alquanto improbabile che la Lega (anzi la Liga in questo caso), vada da sola con un altro candidato e il presidente uscente indicato come vice. Non fosse altro perché si vota anche in altre realtà regionali quali la Toscana, la Puglia e la Campania (queste ultime considerate contendibili dal centrodestra anche se attualmente amministrate dal centrosinistra) e una spaccatura all’ombra di San Marco avrebbe effetti detonanti. Ma l’operazione non è priva di rischi. Perché Zaia potrebbe comunque lavorare dietro le quinte per far perdere i suoi ex amici. Matteo Salvini, alquanto in difficoltà perché preso in mezzo ai due fuochi del premier e del Doge, vorrebbe far slittare di un anno il voto per consentire all’attuale presidente di inaugurare le Olimpiadi invernali di Cortina. Ma questa motivazione non può giustificare lo spostamento delle urne. Una possibile soluzione passerebbe per la Lombardia, che va al voto nel 2027, dove la Lega potrebbe lasciare la presidenza a un esponente di Fratelli d’Italia, mantenendo così il Veneto, ma non con Zaia se fosse sancito il no definitivo al terzo mandato.

Di certo c’è che i rapporti tra il capo del governo e uno dei suoi vice non sono destinati a migliorare. Il fatto che Meloni, al di là delle legittime richieste di partito giustificate dal consenso, sia pronta a togliere le castagne dal fuoco all’avversaria Schlein con lo stop al tris di De Luca, pur di mettere nei premi l’alleato, la dice lunga. Del resto la rivalità tra il leader dei FdI e quello leghista è lì da vedere: quest’ultimo avrebbe in mente di candidarsi per rappresentare il governo italiano alla cerimonia di insediamento di Trump, proprio dopo la visita di Giorgia che ha rafforzato il suo legame con il presidente eletto degli Stati Uniti.

Qualcuno, nei corridoi del palazzo, sussurra che il premier avrebbe proposto sottobanco alla Lega il via libera per Zaia e il terzo mandato in cambio della testa di Salvini. Ma qui siamo davvero oltre i confini della fantapolitica. Con il successo della liberazione di Cecilia Sala, Giorgia Meloni appare sempre più salda alla guida del Paese. Tuttavia, i rapporti tesi con gli alleati mostrano che anche il consenso non è privo di insidie. La partita del terzo mandato sarà un banco di prova decisivo, tanto per l’equilibrio del governo quanto per il futuro della coalizione.

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