Meloni, la nuova svolta a destra

Non so se ricordate l’episodio narrato da Giovanni Guareschi e ripreso anche uno dei film della saga di don Camillo, in cui al parroco interpretato da Fernandel “scappano i cavalli” e si produce in un’appassionata orazione di sinistra. Al sindaco Peppone, con il fazzoletto rosso al collo (Gino Cervi), tocca intervenire per precisare al sacerdote (nella pellicola promosso monsignore) che “i comunisti siamo noi”, invitandolo a non barare. Questa scena può essere venuta in mente a qualcuno l’altro ieri quando in occasione del giorno della Memoria, ottant’anni dopo la liberazione di Auschwitz, Giorgia Meloni, capo del governo di Fratelli d’Italia (partito erede del fascistissimo Msi con la fiamma tricolore ancora nel simbolo), ha pronunciato queste parole sull’olocausto «Abominio nazista con la complicità del fascismo». Fine delle trasmissioni e non solo. Una condanna netta, certo non proprio di destra, almeno dell’idea che si ha della destra italiana ancora incapace del tutto di staccare quel cordone ombelicale nero. Sicuramente parole che avranno fatto piacere anche alle opposizioni, mettendole nel contempo in difficoltà. Adesso, almeno per quanto riguarda il premier e il leader di partito (hai detto cotica) dovranno piantarla con questa storia dell’agitare lenzuola nere di un fascismo di ritorno.

Meloni ha compiuto l’ultimo e definitivo passo verso quella destra moderna, conservatrice e non macchiettistica, che l’Italia, con l’ombra del “Craprun’”sempre allungata, non aveva mai avuto. Forse non è casuale che le dichiarazioni di Giorgia giungano esattamente trent’anni dopo la svolta di Fiuggi e dopo altre parole, pronunciate allora da Gianfranco Fini, sull’abbandono della “casa del padre per non farci più ritorno”. Un evento clamoroso ma non del tutto compiuto, anche a causa della complessa a volta contraddittoria personalità dell’allora segretario di An, poi malamente uscito dalla scena politica sotto il peso del fallimento dell’assalto alla leadership di Berlusconi e le vicende giudiziarie legate alla casa di Montecarlo. Quella “svolta” come l’altra di Meloni era arrivata quando la destra aveva, dopo anni, un importante patrimonio di voti. Lo stesso Fini nella corsa a sindaco di Roma era arrivato al ballottaggio con Francesco Rutelli eliminando la Dc dalla corsa. E allora molti si erano chiesti, e forse qualcuno lo sta facendo ancora, a proposito delle affermazioni di Meloni: ne valeva la pena?. Visto che ormai, anche grazie all’outing a favore di Fini da parte di Silvio Berlusconi ancora solo imprenditore, ma in procinto di fare in salto in politica, la destra era considerata “sdoganata”. Brutta parola ha ricordato in questi giorni Fini in un’intervista commemorativa perché applicata alle merci e non agli uomini, quelli che specie i militanti più anziani del partito, avevano seguito Fini con grande sofferenza oppure avevano deciso di non andare dietro al segretario. L’elaborazione della svolta di allora fu opera di un intellettuale quale Domenico Fisichella e di un fine politico come Pinunccio Tatarella, grande pontiere che, se non fosse mancato prematuramente, avrebbe spinto ancora più avanti la svolta.

Sei lustri dopo ci ha pensato Giorgia Meloni con le parole dell’altro ieri, facendo probabilmente tutto da sola. Ecco la nuova destra, che, per fortuna non è Trump (al di là del feelling del presidente Usa con il nostro presidente del Consiglio). E c’è da immaginare che anche la fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia adesso arda di meno.

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