Meloni oscura tutti. E pensa
alle urne

L’anno che sta arrivando, come cantava Lucio Dalla, tra un anno passerà. Ma qualcuno, sulla falsariga del brano, si sta già preparando. Tutto questo attivismo del Pd sul “federatore” del centro della coalizione di centrosinistra - in lizza ci sono Ernesto Ruffini, attuale numero uno dell’Agenzia delle Entrate e il sindaco di Milano, Beppe Sala – nascerebbe anche dal timore che Giorgia Meloni faccia saltare il tavolo dimettendosi e riportando il paese alle urne confidando di vincere quello che diventerebbe un referendum su di sé. Del resto, specie negli ultimi tempi, la premier sta oscurando in termini di visibilità e apprezzamenti anche e soprattutto internazionali (l’ultimo, ma non unico è quello di Donald Trump) tutto il resto della compagine, compreso il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti che, con la manovra in dirittura d’arrivo, dovrebbe godere del favore dei riflettori, così come il suo “capo”, Matteo Salvini, che vive in pratica accampato davanti alle luci della ribalta.

Invece sembra esistere solo lei, forse anche perché è riuscita a mettere la mordacchia alle tante uscite improvvide di coloro che compongono la sua squadra.

Viene anche il dubbio che le scelte fatte dalla presidente del Consiglio, spesso criticata proprio per l’apparente pochezza dei sui collaboratori, non siano casuali. Se poi dovessero continuare le risse tra Forza Italia e Lega (l’ultima in ordine di apparizione è quella sulle multe cancellate ai no vax) e crescere le probabilità che gli azionisti di maggioranza del movimento azzurri (cioè gli eredi di Silvio Berlusconi) impongano un cambio di campo (il centro che il centrosinistra va cercando qualcosa, appunto, c’entra), non è improbabile che Meloni rompa gli indugi per ottenere, in caso di un’affermazione eclatante alle urne, quei pieni poteri che Salvini aveva invocato durante l’esperienza del governo giallo verde forte proprio di un risultato strepitoso ottenuto dalla Lega alle elezioni europee.

Non estraneo a questo ragionamento attribuito al premier, anche la pur molto lenta erosione dei consensi attribuiti dai sondaggi a FdI, così come, in maniera ancora più placida, il calo della sua popolarità. Si sa che Giorgia è molto attenta a queste cose e certo non è il tipo da lasciarsi rosolare a fuoco lento.

Un voto anticipato, sempre secondo quanto è attribuito al ragionamento del premier, potrebbe cogliere impreparata l’opposizione che non avrebbe tempo e modo di organizzarsi e soprattutto di unirsi.

Perché quasi tutti i sondaggi concordano sul fatto che un’alleanza che vada da Calenda ad Alleanza Verdi Sinistra, passando per Italia dei Valori, Cinque Stelle e Pd, avrebbe un netto vantaggio sul centrodestra. Certo l’idea ricorda la celebre Armata Brancoleone di uno dei tanti film capolavoro di Mario Monicelli. Oggi, soprattutto alla luce dei vicendevoli fendenti tra pentastellati e Dem, sembrerebbe impensabile. Ma domani chissà.

Ecco perché Meloni potrebbe davvero valutare la mossa di concludere a metà la sua prima esperienza a palazzo Chigi. Soprattutto per evitare che sia unica. Si vedrà dopo le feste quali segnali arriveranno: di certo l’oroscopo del governo per il 2025 appare difficile da interpretare.

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