Meloni, Schlein e il gioco al centro

Due eventi, assolutamente non comparabili come rilevanza, ma non del tutto dal punto di vista delle conseguenze, hanno segnato la politica italiana. Il primo è l’uscita di scena, giusto una settimana fa, di Silvio Berlusconi, leader e padre più che padrone di Forza Italia, la componente politica più moderato del centrodestra. Il secondo è la partecipazione a sorpresa di Elly Schlein, segretaria del Pd, alla manifestazione dei Cinque Stelle con Beppe Grillo mattatore, per rilanciare il reddito di cittadinanza. Entrambe le cose rischiano di cambiare lo status quo all’interno dei rispettivi ambiti. Dopo la scomparsa del Cavaliere, sembra che Giorgia Meloni voglia lanciare un’opa sul suo movimento, con ogni probabilità finalizzata a costruire un grande partito conservatore, magari sul modello di quelli europei. Non è causale, in questo senso, l’apertura del premier italiano alla cosiddetta “maggioranza Ursula” che vede, fra gli altri, la partecipazione del Ppe, e gestisce il governo continentale. Dall’altra parte, la scelta di Schlein, non concordata con i Dem, sembra essere un altro passo verso la radicalizzazione del Pd a sinistra. Due strategie speculari, se si vuole.

Chiaro che entrambe sono zeppe di controindicazioni, specie dalle parti del Nazareno, dove ormai la contestazione alla segretaria, pochi mesi dopo la sua investitura tramite le primarie è fragorosa. Ma anche a destra è chiaro che la mossa di Meloni è destinata ad accentuare la competizione con la Lega di Salvini che, nell’ambito europeo si colloca su posizioni diverse.

E l’anno prossimo si voterà per l’europarlamento senza la possibilità di coalizzarsi, cioè di utilizzare il principale collante che tiene unito il centrodestra in occasione del voto.

Ad andare in crisi, con queste mosse, è il centro. Non a caso Matteo Renzi, al di là dell’appoggio sulla riforma della giustizia, piuttosto scontato per un garantista come lui, si è messo in competizione con il premier. Va detto che il centro, in Italia, è un soggetto tanto evocato negli ultimi trent’anni come panacea per governabilità e stabilità, quanto poco foriero di efficacia. Dopo il tramonto della Dc, che, nel bene o nel male, aveva guidato il Paese per quarant’anni, tutti i partitini eredi, che puntavano ad allargarsi e diventare determinanti per ogni alleanza di governo, hanno toccato palla pochissimo. Al limite, sono riusciti a esercitare qualche diritto di veto.

Insomma, alla luce dei movimenti sulla scacchiera della politica, è arrivato il momento di capire se l’Italia deve andare verso un bipolarismo quasi perfetto, attraverso un sistema di alleanze con due partiti guida inseriti con pienezza nel gioco della politica europea.

Forse è questo l’obiettivo di Meloni e Schlein. Vedremo come andrà a finire perché la strada non è facile e soprattutto sconta il precedente ultra decennale di tentativi poco riusciti in questo senso da parte, tanto per non far nomi, di Gianfranco Fini o Walter Veltroni quando erano al vertice di An e dei Ds (non tanto del Pd nel secondo caso).

È’ l’eterna contraddizione dell’Italia politica degli ultimi decenni che, pur aspirando a un bipolarismo, sconta la nostalgia del centro equilibratore e moderato.

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