Presi come siamo dal rapidissimo succedersi di sfide calcistiche tra i giocatori più talentuosi del pianeta, stregati dal rito degli inni nazionali orgogliosamente cantati a squarciagola o coraggiosamente taciuti per protesta, rischiamo di perdere di vista tutto quello che in Qatar accade attorno al campo di gioco e che pure riguarda molto da vicino il nostro futuro di Italiani ed Europei. Per capire perché, partiamo da due istantanee degli ultimi giorni, entrambe scattate nel piccolo Paese che si trova sulla costa orientale della penisola arabica.
La prima fotografia risale al 20 novembre scorso, giorno della cerimonia di inaugurazione dei Mondiali di calcio. Ritrae il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e il suo omologo turco Recep Tayyip Erdoğan che si stringono la mano per la prima volta da quando sono al potere, mentre al centro si staglia (sorridente) l’autore di questo piccolo miracolo diplomatico, l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al Thani.
L’emiro Al Thani è anche il protagonista di una seconda fotografia, scattata il 22 novembre scorso e destinata a far parlare molto di sé, nella quale si vede proprio il leader qatariota festeggiare la vittoria calcistica dell’Arabia Saudita sull’Argentina indossando una sciarpa con la bandiera di Riad. Si tratta di un segno inedito di riconciliazione tra i due Stati che nel 2017 avevano praticamente interrotto le loro relazioni diplomatiche dopo l’accusa rivolta a Doha di sostenere il terrorismo.
Gli esperti la chiamano “la diplomazia delle tribune d’onore” e il piccolo Qatar se ne sta servendo con abilità, innanzitutto all’interno della regione mediorientale. Così, mentre sui media occidentali serpeggiavano critiche (spesso tardive e di maniera) per lo stato dei diritti umani nell’emirato, con una particolare enfasi sulla situazione degli omosessuali e degli immigrati, i 22 Paesi della Lega Araba a inizio novembre sono tornati a riunirsi in Algeria per la prima volta dal 2019 e – proprio alla vigilia del fischio d’inizio della Coppa del mondo – hanno espresso fiducia nella capacità di Doha di ospitare una competizione sportiva di primissimo piano, respingendo le critiche occidentali, tacciate come malevole e perfino razziste. Ancora una volta, come già visto in occasione dell’invasione russa dell’Ucraina, dovremmo dunque prendere atto che l’Occidente fa i conti con un numero crescente di Paesi che non solo contesta apertamente le sue decisioni ma si spinge fino ad articolare e difendere posizioni avverse e alternative.
A rendere un simile quadro ancora più complesso da interpretare e quindi gestire c’è il fatto che il “soft power” del Qatar ha ormai una capacità diffusiva in grado di spingersi ben oltre il Medioriente o il mondo arabo-islamico. I Mondiali di calcio ne sono soltanto l’ultima manifestazione. Nelle pause fra una partita di pallone e l’altra, le élite di questo Paese che conta meno di 3 milioni di residenti (e circa 300.000 cittadini) non hanno smesso infatti di esercitare il loro potere economico globale fondato innanzitutto sulla ricchezza di risorse naturali.
Due esempi possono bastare. Lo scorso 21 novembre, il Qatar ha siglato un accordo energetico con la Cina per rifornire Pechino con 4 milioni di tonnellate all’anno di gas naturale liquefatto (Gnl) via nave per un periodo di 27 anni. Si tratta dell’accordo di questo tipo più duraturo di sempre, ambitissimo in un momento in cui i mercati energetici sono estremamente volatili. Trascorsa appena una settimana, Doha ha firmato una seconda intesa, stavolta con la Germania, che prevede la vendita alla prima economia europea di 2 milioni di tonnellate di Gnl all’anno per quindici anni.
Il Qatar, infatti, si contende ormai con Stati Uniti e Australia il primo posto nella classifica dell’export mondiale di Gnl, e la novità è che finora i suoi idrocarburi erano destinati in larga parte (80%) all’Asia, mentre da qualche settimana sono diventati molto più ambiti in Europa visto che il nostro Continente è alle prese col tentativo di affrancarsi dalle forniture russe. Tentativo legittimo, a patto di tenere sempre a mente che le molecole di gas portano sempre con sé una certa influenza culturale e un discreto un peso politico.
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