In una riflessione memorabile su “Il Signore delle Mosche”, William Golding, con la sferza del cupo pessimismo anti rousseauiano che ne definisce la grandezza, ricordava che l’uomo produce il male come le api il miele.
Il peccato originale, il richiamo della foresta, il cuore di tenebra, che condanna gli uomini a essere eternamente schiavi della Bestia, di quelle pulsioni primarie che nulla hanno a che vedere con l’amore e la solidarietà e tutto, invece, con la sopravvivenza, il possesso, il sopruso, la violenza e che secoli di civilizzazione riescono solo a coprire ed edulcorare. Appena salta il tappo salvifico delle convenzioni, ed è esattamente quello che accade ai protagonisti del libro, un gruppo di preadolescenti di buona famiglia precipitati con un aereo su un’isola deserta, piano piano emergono le radici belluine degli esseri umani in una regressione demoniaca che ha reso celebre questo formidabile romanzo.
Ed è così. È sempre stato così. Sarà sempre così. Torna a ricordarcelo, e il paragone non sembri inappropriato, anche la vicenda schifosa e tragica di Manipulite, della quale abbiamo appena celebrato il trentennale. Ora, il punto non è tanto il ricordo, il racconto e la rivisitazione di quegli anni da un punto di vista processuale, politico e sociale: ne hanno già scritto tutti, i principali protagonisti, quelli ancora in vita perlomeno, ne hanno parlato mille volte, le parti in commedia – magistrati, politici, imprenditori, burocrati, direttori di giornali, grandi inviati - sono state efficacemente rappresentate.
Il tema interessante è un altro. E cioè cosa quella vicenda, negli anni topici del ’92 e del ’93 - il ’93, soprattutto, il ’93 è stato un anno pazzesco, allucinante, grandguignolesco - ha prodotto in noi. In noi gente comune, noi uomini della strada, noi piccoli borghesi rancorosi, livorosi e micragnosi. Strappato improvvisamente il sigillo in ceralacca della “civiltà”, delle “norme”, delle “procedure”, perché quando ogni giorno per mesi e mesi decine di politici e imprenditori finiscono in galera e altre decine vengono indagate e processate, è evidente che è saltato tutto e che tutto non è più politica o giustizia, ma corrida, circo, sfide tra gladiatori, lotta nel fango, nel momento in cui le regole elementari della convivenza sono saltate, nella psiche della folla televisiva, radiofonica e cartacea - e non c’erano i social! – è successo qualcosa di spaventoso.
Proprio come per i bambini del romanzo di Golding, abbiamo iniziato tutti quanti a regredire a un livello animalesco, a sentirci protagonisti di un linciaggio giusto e benedetto, ad annusare il sangue dei potenti, a percepire la paura dei potenti, a godere della paura dei potenti, a inebriarci con l’orgasmo della vendetta, della vendetta sociale, di vederli finalmente sbattere tutti in galera, quei maiali, tutti, tutti quanti, e a riversare sulle cronache giudiziarie tutti i nostri livori, i nostri rancori, le nostre frustrazioni da travet falliti, le nostre ire funeste. E a pensare che fosse finalmente arrivata la giustizia divina che avrebbe donato il potere alla gente comune, il potere al popolo, il potere agli umiliati e agli offesi, grazie ai suoi nuovi santoni, i suoi nuovi dei in terra, i suoi nuovi eroi senza macchia e senza paura.
E poi - la più imperdonabile delle fandonie - abbiamo pensato che l’Italia si dividesse perpendicolarmente in Buoni e Cattivi, in Puri e Corrotti e che una nazione di 60 milioni di santi, poeti e navigatori fosse stata vittima di poche migliaia di delinquenti - tutti loro, solo loro - e che noi - tutti noi, solo noi - fossimo invece angeli, arcangeli, cherubini e serafini e che nessuno di noi fosse raccomandato, non avesse avuto un posto grazie a un concorso truccato, non pagasse le tasse, non fosse falso invalido, non fosse finto disoccupato, non lavorasse in nero, non avesse fatto un abuso edilizio, non parcheggiasse in tripla fila e, soprattutto, che fosse sempre e comunque colpa di qualcun altro. Non è così, putacaso?
E a noi giornalisti, noi meravigliosi giornalisti adamantini, quando ci si è posta l’alternativa tra Buoni e Cattivi non abbiamo esitato un secondo - si vendevano copie a tonnellate, bei tempi… - a stare dalla parte dei Buoni, dimenticandoci che avremmo dovuto “solo” raccontare la realtà, quale che fosse, che non prevede Buoni e Cattivi, ma soltanto una complicatissima, contraddittoria, avvilente ambiguità. E invece no. Eravamo predicatori, eravamo paladini, eravamo in missione per conto di Dio, dovevamo salvare il mondo e così, come sempre quando ci si fa accecare dalla militanza e dal moralismo, abbiamo finito per fare i portatori d’acqua dei nuovi padroni e fare il nostro lavoro tutti in gruppo, tutti in branco, càllidi pecoroni, facendo diventare i giornali – nessuno escluso - delle sbiadite fotocopie di un unico fanghiglioso conformismo benpensante.
C’è da aver paura ripensando a quali sono state le nostre pulsioni primarie in quegli anni sanguinosi e grotteschi, quante fucilazioni senza processo, quanta violenza, quanta demagogia, quanta superficialità. La verità è che noi italiani medi eravamo già tutti grillini a nostra insaputa e tutti populisti e tutti manettari e tutti tricoteuse e tutti servi del pensiero omologato fariseo collettivo. E risalendo più indietro, eravamo già tutti albertosordi e che c’è frega e il primo che si alza comanda ed è tutto un magna magna e il dottore è fuori stanza e il più pulito ha la rogna. E ancora più indietro, eravamo già tutti la massa informe manipolata dal potere mirabilmente tratteggiata da Elias Canetti. E prima ancora, eravamo già il popolo bue senza testa dell’assalto ai forni di Manzoni - rileggete quelle pagine, tra le più terribili sullo schifo che sono gli esseri umani quando diventano folla – facile preda dei masanielli, dei capetti, dei cialtroni, degli imbonitori, dei dittatori.
Ecco quello che eravamo. Ecco quello che siamo. Brutto scoprire chi sei veramente…
@DiegoMinonzio
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