
Né un paese per giovani né per vecchi. L’Italia non è messa bene e forse, anziché preoccuparsi degli immigrati che arrivano, sarebbe il caso di avviare una riflessione su coloro che partono. In primis i ragazzi che, una volta completato il ciclo di studi o maturato il desiderio di lavorare, si trovano di fronte a una situazione paradossale. C’è una grande richiesta di occupazione in molti settori, in particolare nel comparto turistico, che rappresenta una parte significativa dell’economia del paese, e nei servizi. Anche la manifattura è sempre alla ricerca di figure specializzate e qualificate, rese rare dal persistente disallineamento tra scuola e impresa, nonostante i tentativi di colmare questa lacuna abbiano portato qualche miglioramento. Peccato che le condizioni offerte, soprattutto quelle economiche, siano molto meno vantaggiose rispetto all’estero. Così tanti giovani di talento se ne vanno, come avevano fatto i loro bisnonni o trisavoli che si imbarcavano sui vapori diretti negli Stati Uniti o salivano sui treni per il Nord Europa.
Per fortuna, oggi, i giovani trovano all’estero condizioni molto migliori rispetto ai loro antenati. Non sono più costretti a lavorare in miniere o a logorarsi nelle catene di montaggio. Al contrario, rispetto agli emigranti di un tempo, che desideravano solo accumulare risparmi per tornare in patria, oggi i nostri giovani trovano all’estero uno stile di vita invidiabile, con alloggi accessibili e aziende che pongono grande attenzione al welfare. E finisce che la voglia di rientrare svanisce, anche se sono finiti agli antipodi del cosiddetto Bel Paese.
Le difficili condizioni di vita in Italia non spingono via solo i giovani, ma anche gli anziani. La fuga dei pensionati verso paesi con una pressione fiscale più leggera è incessante. Fino a poco tempo fa, la meta preferita era il Portogallo, che offriva una tassazione agevolata e un costo della vita decisamente più abbordabile. Ora le condizioni nel paese che ospitò l’esilio di re Umberto II sono cambiate, e le nuove destinazioni sono l’Albania e, soprattutto, la Tunisia. Ad Hammamet, celebre per aver accolto Bettino Craxi negli ultimi anni di vita, i nostri connazionali sarebbero 8mila su una popolazione di 60mila abitanti. Curiosamente, nessuno sembra protestare per questa “invasione” italiana.
La Tunisia, oltre ai vantaggi fiscali (le aliquote sono molto basse, tra il 5% e il 10%), sembra riuscire a placare anche chi critica il fenomeno per il fatto che molti di questi pensionati rientrano in Italia per ricevere cure sanitarie senza più contribuire finanziariamente al Servizio Sanitario Nazionale. Eppure, nonostante l’esperienza di Craxi – mal assistito e probabilmente morto prima del previsto – parrebbe smentire questa tesi, la sanità tunisina viene descritta come all’avanguardia, con costi irrisori per le terapie di base e assicurazioni sanitarie convenienti per le complicazioni. Come ciò si concili con un regime fiscale così vantaggioso rimane un mistero, ma è la realtà. Anche il mercato immobiliare è particolarmente conveniente: un’abitazione dignitosa può essere affittata con l’equivalente di 300 euro al mese, mentre una villetta con piscina costa circa 900 euro, la stessa cifra con cui, in alcune città del Nord Italia, si affitta un monolocale.
Ecco perché la comunità di pensionati italiani in Tunisia continua a crescere. Ma cosa accadrà all’Italia, che perde i giovani, ovvero il suo futuro, e gli anziani, ovvero la sua memoria? Rischia di trasformarsi in una grande Venezia, abitata solo da turisti?
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