“Il troppo stroppia”. Ogni luogo comune contiene una parte di verità che, in questo caso, riguarda il calcio. Come scriveva ieri Massimo Fini della nuova Champions League avremmo fatto volentieri a meno, così come, in verità, della vecchia. Entrambe, con la loro crescente bulimia, sono ben lontane dal possedere il fascino di quella che si chiamava Coppa dei Campioni (Coppa non Lega che sottintende una formula da campionato), partiva fin da subito con l’eliminazione diretta ed era giocata solo dalle squadre che vincevano i tornei nazionali e non da quelle arrivate quinte come oggi. Si sa il football si è evoluto o involuto: prima da gioco è diventato spettacolo, e quindi soprattutto business. E per far girare i quattrini dei diritti televisivi occorrono tante partite da trasmettere e gli incontri di formazioni più forti a livello internazionale. Ormai il piano si inclina sempre più verso l’Eurolega (la nuova Champions League le assomiglia parecchio), con buona pace dei campionati nazionali destinati al declino. Del resto, le principali squadre sono di proprietà di fondi o multi milionari stranieri, a cui dello scudetto interessa poco nulla.
Eppure la nuova Champions League, dove l’Inter ha debuttato contro il Manchester City (le due finaliste della penultima edizione della vecchia) sta generando effetti collaterali, certo di breve durata, che sembrano riportarci al calcio che fu. Le grandi squadre pagano, in termini soprattutto di sovraccarico mentale e infortuni, gli impegni di Coppa e così succede che in Italia la serie A veda al comando il Torino (non accadeva da quasi quarant’anni), in Inghilterra vi sia l’Aston Villa al terzo posto e in Germania il Friburgo nella medesima posizione. Qualcosa di simile al decennio degli anni ’70 in Italia che, al di là del dominio della Juventus, aveva visto il Cagliari vincere lo scudetto, così come la Lazio da poco promossa in A, il Perugia imbattuto per un intero torneo e il Lanerossi Vicenza al secondo posto. Cose impensabili fino a ieri. Insomma ai piedi del gigante qualcosa di bello, sia pure effimero, si muove. Va anche detto che con la formula della vecchia Coppa dei Campioni, dove sbagliare una partita equivaleva a una condanna, poteva succedere di trovarsi il Nottingham Forest due volte vincitore oppure il Malmoe e il Sant’Etienne in finale. Un calcio magari meno spettacolare, ma anche meno scontato, e tutto sommato, amato e rimpianto da quella generazione che l’ha vissuto ed è rimasta l’ultima a guardare ancora le partite in tv, sia pure con il rischio di fare indigestione. Perché i giovani, dicono le statistiche, si saziano con gli highlights su internet. E non è un caso che gli abbonamenti alle piattaforme siano in calo e non solo perché ci vuole quasi uno stipendio per poter accedere a tutto. Pensate che quelli rimasti davanti ai teleschermi sono perlopiù coloro che, ai tempi, dovevano attendere le 18 della domenica per scorgere il primo fotogramma di un’azione, grazie a Novantesimo Minuto, e le partite complete c’erano solo quando giocava la nazionale o in occasione delle coppe europee. Dal quasi digiuno si è passati alla grande abbuffata. Allora non sarà un po’ troppo il panorama attuale, con incontri tutti i giorni, ulteriormente alimentato dalla nuova Champions League? Non vi è, appunto il rischio che il “troppo stroppi”? Si potrebbe sperarlo se ci fosse la certezza che tutto torni come prima o quasi. Ma non sarà così. Perché, come detto, la strada verso l’Eurolega sul modello Nba del basket è già tracciata. Il calcio però non è il basket e ha una sua nemesi. E chissà che non ci sia qualche sorpresa, a partire dai campionati nazionali meno scontati e perciò più appassionanti.
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