Pensioni: l’italia vive
sulle spalle del passato

Benedetta sia la pensione. È proprio il caso di ammetterlo dopo aver letto alcuni dei dati resi noti ieri dall’Istat sull’andamento delle prestazioni previdenziali in Italia. Sono dati relativi al 2018 e tra le altre cose ci dicono che per quasi 7 milioni e 400mila famiglie i trasferimenti pensionistici rappresentano più dei tre quarti del reddito familiare disponibile. In sostanza, dice l’Istat, la presenza di un pensionato all’interno di nuclei familiari “vulnerabili” (genitori soli o famiglie in altra tipologia) consente quasi di dimezzare l’esposizione al rischio di povertà.

Detta in parole semplici significa che oggi il sistema pensionistico è un insostituibile paracadute che permette a milioni di famiglie di salvarsi dalla povertà.

È la generazione dei nonni che grazie ad un modello previdenziale lungimirante oggi può rivestire questa importantissima funzione di garanzia, non solo per sé ma anche per il nucleo familiare a cui appartengono. I nonni come ammortizzatori sociali, dunque. Il che ci racconta da una parte di un’Italia dove i legami solidali, e quelli famigliari in particolare, non solo tengono ma sono un fondamento assolutamente insostituibile: e questo con buona pace dei tanti che in questi decenni hanno visto nella forma famigliare una zavorra che frena i processi verso la modernizzazione del nostro Paese. Ma dall’altra ci racconta di un’Italia finita in un cul de sac, dove in troppi casi le generazioni attive che per ragioni demografiche sono percentualmente sempre più in calo, non sono in grado o in condizione di produrre reddito e di garantirsi un’autosufficienza economica. Insomma è il lavoro di un tempo passato quello che sostiene gli equilibri di tanti nuclei famigliari, mentre il lavoro presente latita e non è più elemento di garanzia.

C’è un altro dato emblematico rilevato dall’Istat: l’importo medio delle prestazioni pensionistiche del 2018 è aumentato del 70% rispetto a quello del 2000, con una dinamica molto più marcata rispetto a quella registrata dalle retribuzioni medie degli occupati dipendenti.

Rispetto al 2000, infatti, le retribuzioni sono aumentate del 35%, un dato spiegabile con il contesto di crisi economica che ha portato anche ad una serie di mancati rinnovi contrattuali nel settore pubblico. In sostanza, il sistema pensionistico spinge l’economia del Paese meglio che non le dinamiche dell’economia reale. Questo è un dato spiegabile con il fatto che hanno raggiunto la pensione generazioni che possono vantare carriere lavorative più lunghe e in posizioni professionali più elevate. Cioè che hanno vissuto una stagione in cui il lavoro c’era ed era meglio riconosciuto a livello di compensi economici.

Stiamo quindi vivendo sulle spalle del passato. Un passato al quale tutti si affrettano ad aggrapparsi per salire su questa scialuppa di salvataggio. La parola “pensione” risulta tra le più cliccate sui motori di ricerca; pensione è l’argomento di conversazione più frequente nei bar o nei ritrovi.

Ma se invece di guardare a ciò che stato cerchiamo di immaginare ciò che sarà è inevitabile provare un brivido. Che ne sarà infatti di quelle generazioni che oggi hanno dovuto appoggiarsi ai loro nonni per non finire nella povertà? I pochi redditi che hanno racimolato lavorando spesso a spizzichi e bocconi, in proiezione genereranno briciole a livello pensionistico. Bisognerà rivolgere lo sguardo a loro e al loro domani, per non venire ricordati come il paese che ha abbandonato a se stesse intere generazioni, senza riuscire a garantire loro quel diritto che si chiama “previdenza”, cioè possibilità di futuro.

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