Quei trapper ribelli simboli di stupidità

Uno ci prova, a scandalizzarsi. Ce la mette tutta. Ma niente: non è possibile. L’effetto indignazione, che è moto spontaneo dei sentimenti, non emerge, non sgorga, non scatta. Non c’è rabbia, non c’è paura. Anche un banale “Signora mia, dove andremo a finire?” sarebbe di troppo.

Eppure, in teoria è proprio quello che cercherebbero. Almeno, è quel che han sempre cercato individui, gruppi e aggregazioni varie desiderosi di mettersi di traverso, di contrastare la morale corrente, di osteggiare le abitudini, i valori e i pensieri dei cittadini “perbene”. “Épater le bourgeois”, sbalordire il borghese, era l’imperativo di gente come Baudelaire e Rimbaud e il sovvertimento del canoni artistici è stato il programma di tanti movimenti, in particolare nel Novecento, e non di rado di singoli individui, dotati di genio e coraggio, che hanno finito per imporre la loro visione, nuova e inedita, su quella comune, datata e assorbita nei cliché. Così nell’arte e così nella musica. Ma anche nella moda e addirittura nella filosofia e nella politica. Perfino nella scienza e nella produzione industriale.

Tutte le avanguardie decisive hanno avuto, in comune, l’iniziale rigetto da parte del pubblico: gli Impressionisti, esempio, sopportarono pesanti ironie e aperti insulti. Ma tutte le avanguardie decisive hanno infine lasciato il segno, anche a costo di offendere qualcuno, di irritarlo e di suscitare il suo disgusto.

Le avanguardie, però, davano a tutti, anche a chi istintivamente sentiva di doverle rifiutare e osteggiare, la sensazione di essere davanti, di occupare nel presente un futuro che poteva anche non piacere ma che aveva contorni verosimili perché usciva, nel bene e nel male, con le buone e soprattutto con le cattive, dal guscio dell’ipocrisia più consolidata.

C’era, nella provocazione, almeno un seme di verità, un sottofondo di necessità di riconoscere il vecchio non tanto per inutile quanto per incompleto - ovvero buono e conveniente per alcuni, ostile e precluso per altri - e di impellenza nel correggerlo. Di queste tendenze, magari con affettazione e disprezzo, se ne occupavano le pagine culturali, e gli editorialisti di prima pagina. Non sempre cercavano di capire, anzi: spesso irridevano, insultavano. Risolvevano con il sarcasmo ciò che non riuscivano a comprendere. Ma il fatto che se ne occupassero denunciava con chiarezza che, almeno, sapevano in qualche area collocare il segnale partito da pochi e indirizzato a tutti.

Oggi dobbiamo constatare che le “avanguardie” le troviamo direttamente in cronaca nera e non c’è analista o intellettuale che abbia voglia di farsene carico per ricavarci qualcosa di più se non un’allusione ben poco letteraria al codice penale.

E’ il caso dei “trapper” Jordan e Traffik, arrestati con l’accusa di aver rapinato un operaio nigeriano alla stazione di Carnate, in Brianza, armati di coltello e spinti da sentimenti davvero nobili: “Ti ammazziamo perché sei nero”.

In questi e in altri “trapper” - storie di aggressioni armate sono emerse di recente anche nel Lecchese - si riscontra, oltre alla fedina già non pulitissima, l’estrema ostilità nei confronti delle forze dell’ordine che, volendo, potremmo pensare elette a simbolo della società tutta, ma non già bersaglio di un’azione provocatoria che si vorrebbe critica, quanto di una sorta di vandalismo del pensiero, di analfabetismo del disagio.

Ecco perché Jordan e Traffik non scandalizzano e, in fondo, neanche spaventano: nulli come artisti, sono scarsi anche come criminali, fatto salvo il giudizio finale, risultato dei processi che verranno. Non c’è reato peggiore né provocazione più violenta di quella che hanno rivolto contro se stessi: costringendosi a parlare come parlano, pensare come pensano, agire come agiscono.

Società, istituzioni, scuola e famiglia hanno sempre finito per farsi carico delle loro responsabilità, magari a malincuore, magari con riluttanza, sulla spinta di un senso di colpa che in fondo sapevano giustificato. Oggi la pochezza e la stupidità di queste provocazioni ci lasciano perlopiù indifferenti. Ecco la vera colpa: abbiamo tirato su gente incapace perfino di ribellarsi come si deve. Che tristezza.

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