Ci sono tanti tipi di nazisti. Ci sono i nazisti dell’Illinois, formidabile parodia nell’altrettanto formidabile “The Blues Brothers”.
Poi ci sono i nazisti de “Il grande Lebowski”, il film più iconico, colto e snob dei fratelli Coen, che in verità non sono nazisti, ma nichilisti, come spiega il reduce del Vietnam John Goodman in una scena spassosissima. Poi ci sono i nazisti italiani, una manica di macchiette, poveracci e scappati di casa che solo quei tromboni dei nostri intellettualoidi e scrittoronzoli di sinistra possono considerare dei pericoli per la democrazia, tanto è vero che quando Forza Nuova e Casa Pound si candidano alle elezioni - ma come mai il ministero degli Interni glielo permette se sono nazisti? - prendono lo 0.3%. Che sono poi gli stessi intellettualoidi e scrittoronzoli di sinistra secondo i quali tutti gli italiani che votano Fratelli d’Italia sono fascisti che li censurano e sono così censurati che li vedi tutti i giorni in televisione e sui giornali a denunciare che sono censurati. Una roba da chiamare l’ambulanza.
Infine, ci sono i nazisti della Germania. E qui invece, come sempre quando si ha a che fare con i tedeschi, le cose diventano serie. E’ impressionante la cartina politica dopo il voto europeo: coincide perfettamente con i vecchi confini prima della caduta del Muro. In tutti i Land della ex Germania orientale hanno stravinto le formazioni neonaziste, ma neonaziste sul serio, non quelle comiche del cinema americano o quelle ridicole della repubblica delle banane. Ed è impressionante come questo fatto confermi in tutto e per tutto quello accaduto nell’est Europa dopo il crollo del comunismo. La più superficiale delle analisi, quella fatta a caldo senza tenere conto delle lezioni della storia e della natura degli esseri umani, aveva facilmente concluso che la storia fosse finita e che ormai non potesse che muoversi dentro l’unico binario possibile: quello occidentale liberal-democratico, trionfante su tutti i fronti. E così nella nuova Russia, nella nuova Serbia, nella nuova Ungheria e Polonia e Romania, imploso il totalitarismo orwelliano, sarebbe sgorgata da sé la terra del latte e del miele, governata dalla laicità, ma anche dalla fede, dalla tolleranza, dalla democrazia, dalla libertà, dalla fraternità e bla bla bla.
E invece eccoci qui. Tolto il tappo delle dittature novecentesche sono saltate fuori le pulsioni ancestrali e belluine dell’uomo mannaro: razzismo, tribalismo, antisemitismo, squadrismo, qualunquismo, populismo, spazi vitali, culto del conducator invincibile e tutto il resto dello schifo demoniaco che ha segnato la storia sanguinosa del secolo breve. Roba nostra. Aria di casa. Che illusione pensare che la democrazia, la cultura liberal-democratica fosse un delivery da ordinare al telefono e farsi servire bella cotta e mangiata. Quella roba lì, la cosiddetta democrazia o quel che ne resta, esiste solo e soltanto in quanto espressione di una profonda e consolidata struttura borghese della società. Senza borghesia, senza ceti medi, senza intermediazione delle rivendicazioni, la democrazia non può esistere, e infatti non esiste in quasi tutto l’est europeo, dove di fatto non c’è mai stata una vera società borghese e che quindi è sempre stato privo di elezioni, istruzione, professioni e imprese figlie del libero mercato.
Certo, la borghesia ha tanti difetti. E’ noiosa, grigia, dozzinale, ipocrita, farisea, filistea, codina, pantofolaia, non eccita, non esalta, non scalda i cuori, tarpa le ali e poi è ottusa, sciocca, avida e micragnosa. Ci sono pagine indimenticabili di Flaubert sugli orizzonti miserabili e sulle aspirazioni patetiche del gretto borghese di provincia, sulla sua stupidità, tutta la grande cultura del Novecento è di fatto un continuo libello e insulto e sfregio alla palude borghese, al perbenismo borghese, al tartufismo borghese e tutte le forze estreme di inizio secolo, quando le masse sono entrate sulla scena, hanno individuato nel borghese il Nemico. Pensiamo a Giolitti, l’unico vero grande statista italiano, assieme a Cavour e De Gasperi: nessun uomo politico è stato così odiato e attaccato e diffamato da destra e da sinistra, da Mussolini così come dai comunisti per quello che era e per quello che rappresentava. E infatti abbiamo visto cosa è successo dopo, quando è stato travolto dal massimalismo rosso e nero.
La borghesia è vista da sempre come il Male. E forse lo è. Però è anche quella che ti insegna a stare a tavola, a non mangiare con le mani, a leggere, scrivere e far di conto. E’ quella che ha una sua etica, un senso del suo dovere civico e sociale all’interno della comunità, è quella che leggeva i libri e leggeva i giornali, che investiva, produceva, programmava. Che andava a votare. Dove non esiste, la democrazia non può nascere e nessuno la può importare se non c’è un terreno pronto dove farla attecchire, come abbiamo visto in Medio oriente (a parte Israele, guarda un po’…) così come in sud America e nell’Europa dell’est.
Eppure si potrebbe obiettare che lo sgretolamento delle democrazie sta avvenendo anche nei loro regni naturali, in Francia ad esempio, così come in Gran Bretagna o negli Usa, ma pure in Italia e in Germania. Ed è vero. Ma il motivo è lo stesso: la progressiva trasformazione della borghesia in plebe. E non è una questione di soldi. Non importa quanto sei ricco, non importa se guadagni bene, hai due case e cinque macchine. La borghesia non è un fatto economico, è un fatto culturale. Nel momento in cui diventi un mero consumatore passivo, un analfabeta funzionale che non capisce il significato di un testo di venti righe, un narcisista frustrato che non vede un centimetro al di là del proprio smartphone alla fine la tua trasformazione da “borghese” in “plebeo” è cosa fatta. Passa il primo demagogo da quattro soldi a urlare “Viva la mamma!” oppure “Dagli al nero!” o “Dagli al rosso!” e gli dai retta. E lo voti pure.
Ma quello sulla nuova plebe del nuovo millennio sarebbe un altro lungo, penosissimo discorso.
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