Quirinale: l’ennesima
ultima chiamata

Benvenuti nel Paese in cui il presidente della Repubblica in carica ha staccato il telefono per paura che lo richiamino in servizio dopo aver detto a tutti e in qualsiasi idioma che non ci tiene, aver postato foto di scatoloni al Quirinale, fatto vedere dove andrà ad abitare adesso. Eppure dopo sei votazioni inutili in cui il nostro ceto politico ha dato il meglio di sé (e non è in senso ironico) potrebbe toccare anche a lui restare al suo posto. Insomma, l’elezione del capo dello Stato, l’atto più nobile della Repubblica diventerebbe una sorta di gioco dell’oca in cui si riparte dal via e tutti contenti.

In realtà ad esserlo sarebbero soprattutto gli italiani che hanno già sperimentato in questi sette anni e, in particolare negli ultimi due, segnati dalla pandemia, le qualità di quest’uomo in apparenza fragile, ma con un carattere e una volontà di ferro. E soprattutto una cultura politica, quella della sinistra Dc, che a confronto con la fuffa che si ritrova adesso appare stoffa tessuta da un Churchill.

In caso di elezione diretta, un tabù che, dopo oltre settant’anni dalla caduta del fascismo e alla luce del brutto spettacolo visto in questi giorni, il capo dello Stato uscente, con ogni probabilità, vincerebbe a mani basse. Proprio perché ha dimostrato una capacità di analisi e azione politica anni luce al di sopra di tutti gli altri. E forse, comunque vada questa partita del Quirinale che, prima o poi, se non altro perché incombe il Festival di San Sanremo, ne arriverà a una, potrebbe servire a ripartire da qui. Le alternative sono quella di Mario Draghi di Elisabetta Belloni, sorpresa dell’ultimo momento con ottime chance visto il sostegno di Lega e Cinque Stelle che sulla carta hanno la maggioranza in Parlamento. In pratica quasi gli stessi cavalli che erano sui nastri di partenza prima dell’inizio del tritacarne in cui sono finiti tanti altri nomi.

Sarebbe ora, per dirla alla De Gaulle, di suonare la fine della ricreazione dell’antipolitica, dei populismi e dei sovranismi applicati a sproposito e un tanto al chilo giusto per vedere l’effetto che fa e perciò molto dannosi, del leaderismo senza capacità di leadership (vero Salvini?), del tirare a campare come unica strategia ereditata da quello che è stata la lezione di Giulio Andreotti.

Il fatto che ieri, durante l’ennesima maratona di Enrico Mentana che ha ormai oscurato la fama di Fidippide, Clemente Mastella giganteggiasse, dice tutto. Molti ricorderanno, infatti, che il simpaticissimo attuale sindaco di Benevento, era il tirapiedi di Ciriaco De Mita e una sorta di macchietta della Prima Repubblica, quello che a Natale circuiva i conoscenti con il regalo dei prelibati torroncini delle sue parti.

Serve altro per aprire una buona volta gli occhi? Con lo spettacolo messo in scena in questi giorni, si è ulteriormente dilatato il divario tra quello che si definisce paese reale e l’altro, il cosiddetto legale che si balocca alla Camera mentre il bollettino di guerra del Covid segna almeno 300 vittime in tutti i giorni in cui si è votato il presidente della Repubblica.

L’impressione, certo fallace, che avvertono i cittadini è un senso di abbandono. Anche da parte di SuperMario Draghi che, giocoforza, ha dovuto lasciare la scena e non si capisce che trame stia tessendo per garantire non tanto il futuro del paese quanto il proprio. Perché ciò che complica la partita del Colle più alto di Roma, ed è un fatto inedito, è il legame con le sorti del governo, anche se, Costituzione alla mano (ah già c’è anche la Costituzione…) le due cose dovrebbero c’entrare come una merenda con tavolate imbanditi di cavoli. Quando Mattarella annunciò l’avvento di Draghi in presenza di un quadro politico simile a una putrescente palude, tornò la ricorrente immagine dell’ultima chiamata, la stessa evocata quando la medesima situazione costrinse Giorgio Napolitano ad accettare un bis anch’esso indigesto. Purtroppo dopo l’ultima c’è sempre l’ultimissima e bisognerebbe aggiornare la lingua italiana per poter aggiungere altri issimi. Per questo c’è poco da essere ottimisti: anche questa brutta figura non servirà da lezione. Perché se la stoffa è scadente, la puoi tessere e cucire come vuoi, ma non ne ricaverai mai un buon vestito.

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