A spiegare la situazione, il quotidiano “La Nuova Sardegna” ci prova con un articolo online che prosegue per diverse generose schermate. Poi, si arrende. Quando, nel titolo, è costretto a offrire una sintesi, non può far meglio di attestare come, nella mappa, regni “il caos”. La mappa è quella della Sardegna stessa, la novità che dovrebbe raccogliere quella delle Province di fresca istituzione.
Il redattore de “La Nuova Sardegna”, che forse aveva rinunciato agli studi di fisica quantistica proprio per evitare di trovarsi in pasticci del genere, finisce suo malgrado per concepire un guazzabuglio del quale ci permettiamo di riprodurre, paro paro, una minima parte: “La geografia delle nuove province è più o meno la stessa venuta fuori con la riforma dei primi anni del Duemila. La Gallura ha riottenuto l’autonomia, ma non si chiama più Olbia Tempio, bensì Provincia del Nordest, perché i centri del Monte Acuto si erano stufati di essere “oscurati’” a favore della Gallura. I comuni sono sempre 26, ma la prefettura resterà quella di Sassari, perché le province create dalle Regioni non sono equiparate a quelle costituzionali. Budoni e San Teodoro resteranno ancora nella circoscrizione giudiziaria di Nuoro, mentre Buddusò, Alà, Padru e Oschiri in quella di Sassari. Il tribunale di Nuoro resterà competente per tutti i comuni del Goceano, nonostante facciano parte della nuova Città metropolitana di Sassari.”
La domanda, diceva qualcuno, sorge spontanea: ma se io vado da Budoni a Buddusò trovo Benigni che mi scuce un fiorino? Altre questioni poi saltellano sulla punta della lingua. Per esempio: ma delle Province non si era detto che sono enti inutili? E ancora: non avevamo piantato un gran casino sulle spese per la Casta tanto che a momenti abolivamo il Senato e se non lo abbiamo fatto è stato più per fare incazzare Renzi che per amore del sistema bicamerale perfetto?
In realtà, quella delle Province è un’abolizione all’italiana. Si parte con un disegno di legge, che poi diventa decreto, che infine viene respinto tramite referendum. Però nel frattempo i soldi sono stati tagliati: le Province dunque esistono ancora ma hanno meno competenze di prima – ed erano già poche – e mancano dei soldi per occuparsene.
La Sardegna, poi, essendo Regione autonoma ha una storia tutta sua. Nel 2012 vota per abrogare le quattro province storiche (Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano) e le altre quattro aggiunte nel 2005 con un atto che a chi scrive provocò un moto di sollievo per non essere più un alunno delle elementari alle prese con la geografia.
Subentra poi nel 2016 una legge regionale la quale stabilisce “che fino al superamento definitivo delle province, il territorio della regione, ad eccezione di quello della città metropolitana di Cagliari istituita dall’art. 17 della stessa legge, è suddiviso nelle province riconosciute dallo statuto e dalla legge statale e le circoscrizioni territoriali corrispondenti sono individuate dall’articolo 25 della stessa legge: la città metropolitana di Cagliari e le Province di Sassari, Nuoro, Oristano e Sud Sardegna.”
Vi siete persi? Fa niente. Perché tanto, nello scorso aprile, una nuova legge regionale “istituisce la Città metropolitana di Sassari, modifica la circoscrizione territoriale della Città metropolitana di Cagliari, ampliandone la circoscrizione territoriale; istituisce le Province del Nord-Est Sardegna, dell’Ogliastra, del Sulcis Iglesiente e del Medio Campidano; modifica la circoscrizione territoriale della Provincia di Nuoro e sopprime infine le Province di Sassari e del Sud Sardegna.” Nulla cambia per la Provincia di Oristano. E vien da dire: grazie a Dio.
In attesa che il presidente regionale Christian Solinas fornisca chiarimenti e, magari, ci assegni un indennizzo per mal di testa provocato, a noi, nella nostra ingenuità geografico-amministrativa, resta la soddisfazione di annunciare un’altra battaglia vinta nella guerra agli enti inutili, quel grande sforzo nazionale che nel tentativo di cancellare istituzioni parassitarie riesce magicamente a moltiplicarle. Naturalmente, ci sarebbe tanto da fare sul tema dei meccanismi d’autonomia locale, a incominciare dalla Sanità. La pandemia dovrebbe ispirare un esame complessivo su cosa ha funzionato e cosa no, quali leve di comando si sono rivelate produttive e quali inefficaci. Poteva anche essere l’occasione per dichiarare una volta per tutte che le nomine di natura politica, negli uffici preposti alla cura del cittadino così come nelle corsie degli ospedali, non vanno bene per niente. E invece no: qui si separa San Teodoro da Padru e si deve pure far finta che servirà a qualcosa.
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