In un periodo del secolo scorso andava alla grande una canzone di Caterina Caselli che si intitola “Perdono”. La sua popolarità è quasi oscurata da un’altra parola simile: “condono”. La pronunciano i cittadini speranti, la rilanciano i politici rassicuranti in campagna elettorale. Ci sono varie forme di condono: quella più spettrale, ma anche la preferita è “tombale” perché sana del tutto qualunque forma di abuso. Poi c’è il condono fiscale, quello urbanistico e quello edilizio.
Il condono è forse la più facile delle promesse elettorali da mettere in pratica, infatti lo fanno quasi tutti di ogni partito: basta costruire una norma che si sovrapponga quella esistente che vietava o imponeva qualche pratica. Adesso, dopo la tragedia di Ischia, è sulla bocca di tutti il “condono” edilizio che si associa spesso al termine “abuso”. La parola è utilizzata come scaricabarile a ogni livello istituzionale. Ministri e parlamentari accusano i sindaci che a loro volta rispondono e tirano in ballo anche altre istituzioni.
Il fatto è che pochi posso scagliare la prima pietra siano vecchi o nuovi della politica. Tra questi ultimi spicca l’ex bipresidente del Consiglio Giuseppe Conte che in quanto avvocato, tenta di difendere un cliente indifendibile, cioè sé stesso. Perché un condono edilizio, proprio riferito anche all’isola del Golfo di Napoli, l’ha firmato proprio lui, nel governo che condivideva con quel Matteo Salvini che, preso dalla solita smania di arrivare primo, ha in maniera macabra anticipato il numero delle vittime della frana e costretto il ministro dell’Interno Piantedosi a smentirlo. È seguito il gruppo di indignati con il dito puntato in qualche direzione, e non importa se Marcello Sorgi, giornalista politico di lungo corso, abbia ricordato come la prassi dei condoni risalga ai governi democristiani presieduti dal doroteo Mariano Rumor, proprio all’epoca in cui cantava Caterina Caselli. Quanti hanno costruito dove non era il caso di farlo consapevoli che tanto sarebbe arrivato il condono? E allora di fronte a eventi come quello di Ischia sarebbe il caso, impossibile, di applicare la regola del bel tacer e cercare di darsi da fare per limitare altre tragedie. Sì perché è inutile fare i pesci in barile, succederà ancora. I cambiamenti climatici hanno mutato la portata degli eventi meteorologici che sono diventati più violenti.
La situazione del territorio italiano, assediato negli anni della cementificazione più o meno possibile, è quella che è. Tutte le leggi che sono state costruite non appaiono adeguate, figuriamoci poi se vengono sterilizzate dai condoni. Bisogna partire da questa consapevolezza e, nelle politiche di tutela di suolo ricominciare da capo o quasi, tenendosi quello che c’è di buono. E mettere via per sempre i condoni. Pazienza se poi i sindaci che fanno abbattere le costruzioni abusive rischiano di non essere riconfermati o i politici che non promettono scorciatoie falliscono l’elezione. Una vita vale mille volte di più di una poltrona. E il caso di dirlo? I primi a esserne consapevoli però dobbiamo essere noi, cittadini elettori che amiamo le scorciatoie, che prendiamo come scusa la burocrazia ottusa e oppressiva (qui invocare un cambiamento è davvero fiato sprecato). Altrimenti alla prossima Ischia o dove sarà, le vittime saranno ancora una volta sommerse di fango e chiacchiere inutili e ipocrite. E in questo caso, con buona pace di Caterina Caselli, non c’è “Perdono” che tenga.
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