Una delle massime di Alcide De Gasperi più citate e meno messe in pratica è: “Il politico guarda alle prossime elezioni, lo statista alle prossime generazioni”.
Mario Draghi, nella conferenza stampa dell’altro ieri in cui ha vuotato le scarpe dei sassolini che vi si erano insinuati dal giorno del suo ingresso a palazzo Chigi, ha dimostrato di saper essere uno statista. Chiaro, per lui è facile visto che, con ogni probabilità, non sarà mai chiamato alla prova del voto popolare.
.Ma intanto ha fatto un ragionamento da uomo di governo che guarda agli italiani che verranno. Con un concetto tanto semplice, quanto sgradito a coloro che, invece, poiché politici o politicanti sono costretti per necessità. ma anche carenza di virtù. a puntare il binocolo verso le prossime elezioni.
In pratica, il presidente del Consiglio ha affermato che se davvero la riapertura delle scuole è considerata una priorità (a parole, ma solo a parole, da tutti) occorre che sia davvero tale. E poiché, anche nei “dì! non dedicati al Sommo Poeta, l’italiano è l’italiano, significa che la scuola deve appunto arrivare prima (o pria) di tutto il resto. Quindi, ha indicato l’inquilino di palazzo Chigi, si aprano i luoghi dell’insegnamento, ma si lasciano serrati, o limitati gli altri. Almeno finché i contagi non consentiranno altre soluzioni. Chiaro, limpido e Recoaro (mi raccomando solo d’asporto, eh).
Così lucente da abbagliare subito alcuni politici, in testa Salvini e i presidenti di Regione del centrodestra animati dalla fregola di placare le rabbie dei gruppi sociali che in prevalenza li sostengono. Se però Draghi avesse dato loro corda, al di là dei problemi di ordine sanitario piuttosto evidenti, avrebbe dovuto lasciar perdere le generazioni future.
Dopo un periodo di circospetto rodaggio, il Professore chiamato da Sergio Mattarella al capezzale dell’agonizzante politica italiana, comincia a mettere giù le carte. E a bussare a bastoni. Ora, si può cominciare ad apprezzarlo o meno sulla base di fatti e non con quella fiducia senza intoppi e un po’ pelosa di cui ha goduto finora da gran parte dei mass media. Non è un caso che, dopo le dichiarazioni dell’altro ieri, molti giornali abbiano cambiato rotta e indicato nel nuovo premier un clone del vecchio Conte che altro non sa fare che chiudere tutto.
Invece, bisogna dare atto al capo del governo, della volontà di trasformare in fatti quelle che prima, sulla scuola, erano solo parole di comodo. Si sa che gli studenti, in gran parte non votano e quello degli insegnanti è un elettorato molto meno liquido rispetto ad altre categorie. Ecco perché in materia, i politici che guardano, e non sia considerato uno scandalo, solo alle elezioni, hanno consentito questo stillicidio scandaloso che si è consumato nei mesi scorsi ai danni di bambini e ragazzi soprattutto, ma anche di prof e famiglie , con le lezioni a distanza, le riaperture a singhiozzo, le presenze parziali e la maturità caricaturale.
C’è da augurarsi che quella di Draghi sia una vera svolta e che il presidente del Consiglio regga alle pressioni che arrivano anche e soprattutto dalla sua maggioranza, per cambiare linea. Aprile è il mese del dolce dormire, ma il Professore dovrà restare ben sveglio perché si gioca tutta la sua partita da statista. Se con le chiusure rigorose e le vaccinazioni a tappeto avremo un maggio non segnato ancora da centinaia di morti per il Covid, la possibilità di allargare ancora di più le lezioni in presenze e far ripartire molte attività, avrà vinto. Altrimenti c’è il rischio che per lui si possa riciclare e rielaborare il celebre passo del Manzoni dedicato a un altro tizio a cui il decisionismo non faceva difetto: “Ei fu siccome immobile”. Perché, Dante ce lo ha insegnato, l’italiano è una lingua meravigliosa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA