È proprio vero che tutto si tiene. Perché sarà il sindaco Alessandro Rapinese, a marzo, a tagliare il nastro del primo tratto del nuovo lungolago di Como.
Lui che questa “patata bollente” non l’hai mai sfiorata, al contrario dei suoi predecessori che si sono ustionati, addirittura Mario Lucini con la lunga vicenda giudiziaria che l’ha visto coinvolto per sette anni salvo poi uscirne immacolato, più di Stefano Bruni, il primo cittadino del muro.
Adesso si sa che il Comune ha un ruolo minimo nel progetto, passato alla Regione Lombardia, ma è chiaro che toccherà all’attuale inquilino di palazzo Cernezzi presiedere la cerimonia di apertura della prima parte dell’opera e, salvo cataclismi, anche dell’intervento ultimato.
Ce ne sarebbero di cose da dire a conclusione di questa vicenda per quello che ha rappresentato e determinato nella società e nell’amministrazione comasca, ma il capoluogo, da qualche tempo, sembra essere piombato in un silenzio sia pure, forse, assordante.
La vittoria a sorpresa di Rapinese ha choccato un po’ tutte le forze politiche locali che, a distanza di mesi non sembrano essersi riprese dalla botta. Certo, l’attuale sindaco è uno che non ama sentire troppe voci, anzi gli piace ascoltare solo la sua in santa pace. Ma forse l’opposizione dovrebbe cercare di fare il possibile per disturbare il manovratore anziché andare a piagnucolare dal prefetto per certe dichiarazioni fuori dal vaso del “don Lisander” dei nostri tempi.
E poi ci sarebbe la città: le associazioni, le categorie, i club di servizio, circoli: i luoghi in cui dovrebbe svilupparsi il dibattito sul futuro di Como e da cui dovrebbero arrivare spunti, suggerimenti e supporto per l’amministrazione comunale che poi può essere libera o no di accoglierli.
E invece anche qui tutti muti. Un tempo, anche recente, non era così. Perché? Per timore, o magari per far sì che il sindaco possa sbagliare da solo? Non sarebbe una grande strategia, simile a quella del famoso marito che si mutila si sa dove per dispiacere alla moglie.
Sembra che i problemi di Como si siano improvvisamente dissolti, di certo non sono stati risolti, perché i miracoli non li fa nessuno.
La città che ancora non sa bene quale sarà la sua identità futura ha bisogno di dibattito, confronto, idee quali che siano. Altrimenti neppure si sprofonda nel pensiero unico, ma nel non pensiero. Ci sarebbe da parlare di urbanistica, del destino di location strategiche (su tutte le stadio), della politica infrastrutturale anche per capire se davvero qualcosa si muove per il secondo lotto della tangenziale.
Persino sulla “grande Como” lanciata da Rapinese, ma rimasta lì come una boutade che invece varrebbe la pena di approfondire. E poi sarebbe il caso di interrogarsi anche sulla “bolla” del turismo. I dati record del 2022 e, con ogni probabilità anche dell’anno appena cominciato rischiano di flettere se non si ragiona su servizi adeguati da offrire, al di là di quelli che ci hanno regalato il lago e la natura.
Se qualche ragionamento è in corso in “segrete stanze” per favore fatecelo sapere. Di certo abbiamo un sindaco molto interventista e non è detto che sia un male. Ma supportarlo con un’azione di pensiero, anche critico, potrebbe essere meglio e far bene a una Como che ha bisogno dell’amore e dell’impegno di tutti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA