È giusto discutere sull’opportunità di estendere i mandati dei pubblici amministratori in ruoli apicali (sindaci delle grandi città, presidenti di Regione e, perché no, anche del Consiglio dei ministri). Tuttavia, piegare questa discussione alla politica di bottega mostra chiaramente come potrebbe finire, soprattutto nel centrodestra, benché la questione sia presente anche nel campo opposto.
Giorgia Meloni, presidente del Consiglio senza limiti di mandato se non quello legato alla fiducia degli elettori, è contraria al terzo “giro” per i governatori. Tuttavia, la sua posizione sembra dettata dalla necessità politica: è l’unico modo per cercare di conquistare la guida di una Regione del Nord, come il Veneto, e magari anche il Friuli Venezia Giulia, dove si dovrebbe votare la prossima primavera. A Venezia, inoltre, resta aperta la possibilità di posticipare le elezioni di un anno, dopo le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026.
Attualmente, i due territori sono governati da due figure di spicco della Lega, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, molto apprezzati dai loro elettori. Sarebbe difficile non rieleggerli se non imponendo un limite legale, ovvero il divieto del terzo mandato. Questa norma, però, appare confusa e controversa. Entrambi i governatori stanno completando il loro secondo mandato e, nonostante ciò, Fratelli d’Italia – il partito del premier – forte dei consensi ottenuti nelle recenti elezioni politiche ed europee, mira a rivendicare la presidenza di Veneto e Friuli Venezia Giulia. Questa strategia, se portata avanti in modo trasparente, sarebbe una modalità sana di fare politica.
Tuttavia, la volontà dei territori non andrebbe ignorata. Politiche ed europee sono una cosa, le regionali un’altra. I veneti, in gran parte, desiderano ancora essere governati da Luca Zaia. È noto che il Veneto ha una forte identità autonomista e non ha mai digerito del tutto, nonostante i secoli trascorsi, il tramonto della Serenissima e dei suoi fasti. Anche per questo, il presidente della Regione è spesso chiamato “Doge”. Imporre una scelta dall’alto potrebbe rivelarsi rischioso.
La componente veneta della Lega, la Liga, ha sempre mal sopportato la supremazia lombarda imposta da Umberto Bossi, e non è certo entusiasta del progetto di partito nazionale voluto da Matteo Salvini. La Liga, forte di sondaggi che attribuiscono un 40% di consensi a una lista civica guidata o ispirata da Zaia in caso di esclusione del governatore, potrebbe decidere di correre da sola. Questo consenso non sarebbe forse sufficiente per vincere autonomamente, ma basterebbe per far perdere il centrodestra.
Nonostante le elezioni si svolgano anche in altre Regioni, dove sarebbe fondamentale mantenere la coalizione unita, i veneti sembrano poco interessati a queste dinamiche nazionali. Anzi, la prospettiva di mettere in difficoltà Salvini – assente nella riunione del Consiglio dei ministri che ha approvato il divieto del terzo mandato – sembra rafforzare la loro determinazione. In quella sede, il dissenso della Lega non è stato formalizzato solo perché il voto non era previsto.
A questo punto, la questione sembra destinata a generare un perdente nel centrodestra nazionale. Se la Liga riuscirà a far ritirare il veto governativo sul terzo mandato, la sconfitta sarà di Meloni e, in subordine, di Forza Italia, che ha appoggiato la posizione del premier sperando di ottenere qualcosa in cambio. Al contrario, se il no resterà, lo sconfitto sarà Salvini, che rischierebbe seriamente la sua leadership.
Forse sarebbe stato più saggio lasciare la decisione agli elettori, consentendo ai presidenti di Regione con due mandati di ricandidarsi, oppure indire un referendum consultivo sulla questione. In fondo, non si capisce perché il presidente del Consiglio possa restare in carica senza limiti, mentre i governatoria Venezia o Trieste debbano vivere sotto la costante minaccia di uno “sfratto” deciso dalla politica e non dal popolo.
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