Se, come sosteneva Pirandello, la realtà non è mai quella che appare, spesso anche le notizie, le notizie vere, non sono mai quelle che vengono pubblicate. Le notizie vere sono quelle che non vengono scritte oppure quelle che finiscono sui media solo per un giorno. Uno solo. Quello successivo finiscono insabbiate a pagina ventisette e quello dopo spariscono nel nulla, come uno spettro al canto del gallo.
Ecco, quando accade questo, di solito ci si trova di fronte a una vera notizia. Quella che ci dice chi comanda per davvero, chi scrive l’agenda, chi detta i tempi del cosiddetto dibattito politico-culturale, di che pasta è fatto il paese in cui viviamo e di che fibra morale è costituita la sua classe dirigente.
Un esempio eclatante di questa grande verità, che sottende la miseria infinita, desolante del nostro mestiere, è quello relativo all’arresto di una decina di ex brigatisti residenti ormai da decenni in Francia e sui quali pende da altrettanti decenni una richiesta di estradizione, che ha sempre ricevuto risposta negativa. Ora, la vicenda è nota e getta una luce tanto infame quanto crepuscolare su quegli anni, così luridi e tragici, ma così paradigmatici di quello che era l’Italia e di quello che nonostante tutto ancora è. Ed è forse proprio per questo che non vale la pena indugiare sulle surreali, grottesche, irritanti dichiarazioni di questi ieri rivoluzionari proletari e oggi vecchi, bolsi, patetici borghesucci da quattro soldi durante l’udienza alla Corte di appello di Parigi e tutte gorgoglianti di riflessioni epocali quali “l’esilio è un’espiazione permanente”, “non si possono arrestare italiani ormai in Francia da decenni”, “una responsabilità collettiva”, “eravamo i nuovi partigiani” e, soprattutto, l’indimenticabile aforisma scolpito nella pietra dall’assassina di poliziotti Marina Petrella: “Le vittime sono già state risarcite da tutti i compagni che hanno fatto l’ergastolo: questa idolatria vittimistica è un grande passo indietro filosofico”. Tutto vero. Un passo indietro filosofico. Vi rendete conto? Un passo indietro filosofico.
Bene, la vicenda di questi signori si può risolvere solo in tre modi. Applicando la legge e la giustizia, ma visto come sono andate le cose dalla dottrina Mitterrand in poi abbiamo la prova che la giustizia non è davvero di questo mondo. Applicando il metodo israeliano dopo Monaco 1972, ma queste sono cose che non si fanno, che solo loro possono fare. Applicando un dolente pragmatismo che ci consiglia di condannarli con il nostro oblio, ma ben sapendo che quelli non sono né eroi né ingenui idealisti né perseguitati né compagni che sbagliavano né novelli Che Guevara né altro. Quelli sono solo degli assassini. E delle merde. Punto.
La cosa molto più importante, e molto più grave, nel corso dell’anno del Signore 2021, e quindi ad alcune ere geologiche di distanza dagli anni Settanta - formidabili quegli anni… - è invece un’altra. E cioè quella di cui parlavamo all’inizio. L’assordante silenzio in cui è stata ovattata, imbozzolata, sbianchettata, insabbiata e archiviata la notizia del loro arresto. Un giorno di fuoco e fiamme, titoloni sui tg e sui giornali e ventiquattro ore dopo la faccenda era già finita nel dimenticatoio. Voi direte l’emergenza Covid, il Recovery Fund, il caso Fedez, le morti sul lavoro, lo scudetto dell’Inter, soprattutto - e quando gli ricapita?? - e invece non è quello. Non lo è affatto.
La verità è che quella roba lì, quella storia senza fine, quella stagione della P38 sul piatto di spaghetti, rappresenta ancora oggi l’autobiografia della nazione, l’album di famiglia che tutto ha determinato nel mezzo secolo successivo e con il quale nessuno ha fatto i conti per davvero. La lobby di Lotta Continua, il vero e invescato alveare dell’intellighenzia italiana, la vera ape regina dell’immaginario collettivo, il vero motore immobile della palude nazionale è ancora viva e combatte per noi, compatta, compattissima, inscalfibile come una falange macedone, una massoneria riservatissima, ma al contempo estesissima, che anche oggi impedisce alla verità di venire a galla. E questo perché ha permeato con le sue parole d’ordine, i suoi diktat, i suoi tic e i suoi birignao tutta una generazione, che in minima parte ha scelto la lotta armata ed è finita in galera, ma che invece in larghissima parte ha invaso tutte le stanze del potere, tutte, nessuna esclusa, politica, comunicazione, editoria, scuola, università, lobby, ministeri, tribunali, salotti, terrazze. E sono ancora lì. Sono ancora tutti lì, solo la biologia li sta facendo via via uscire di scena, sempre pronti a scannarsi tra loro - si va dalla sinistra alla destra, passando dal centro, dall’alto e pure dal basso – ma sempre adesi e coesi nel rimuovere il vero cuore di tenebra della meglio gioventù che loro, con tutte le loro schifezze, hanno rappresentato e del quale non bisogna parlare, non bisogna sapere, non bisogna ricordare.
E il fatto che tra gli associati di questa grande consorteria ideologica e soprattutto antropologica ci siano nomi di altissimo livello culturale, di clamoroso valore professionale, nulla toglie a quello che sono stati e a quello che hanno fatto. Anzi, è proprio l’essere così in gamba che ci spiega come mai il loro influsso sia ancora decisivo e ci fa capire tante cose, perché in questo paese certe cose accadono e altre no, perché non esista un pensiero liberale, perché lo Stato sia così fragile, perché ci sia ancora qualche cervellone che quando vede un militare non si sente al sicuro, perché nessuno riesca a frantumare la casta. Ci fa capire un sacco di cose. Forse addirittura tutte le cose.
Non ne siete convinti? Allora fate così. Andate su Google e digitate “firmatari manifesto contro il commissario Calabresi” e leggete le 757 firme della lettera sul caso Pinelli pubblicata più volte dal settimanale L’Espresso nel giugno 1971. Leggete e rifatevi gli occhi. Non c’è bisogno di dire altro. Ê tutto lì. Viva l’Italia.
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