Totti e Virzì: i genitori delusione dei figli

Circa un anno fa, un notissimo marchio della grande distribuzione realizzò una campagna pubblicitaria di successo destinata a infiammare per giorni il dibattito pubblico.

Era il famoso “spot della pesca”, una breve storia che raccontava il toccante tentativo di una bambina di riconciliare i genitori separati grazie al regalo (all’insaputa uno dell’altra) di un frutto comprato al supermercato. Naturalmente il tema del divorzio, o meglio del dolore provato dai figli a causa di un divorzio, creò un mare di polemiche, generalmente ideologiche o stupidotte. Certo, quello di porre in relazione una pubblicità commerciale con un tema così sensibile era una scelta ardita, peraltro sviluppata benissimo da un punto di vista tecnico e narrativo, ma da qui a vederci un occhiuto tentativo subliminale di mettere in discussione l’istituto del divorzio in quanto tale, un attacco alla nuova famiglia larga, allargata e larghissima, alla libertà e l’autonomia delle donne (ma anche degli uomini) di sciogliere legami ormai usurati, di perpetuare matrimoni senza senso solo per i figli (“non lo sopporto più, ma lo faccio per i bambini”), come ci si comportava nelle vecchie famiglie patriarcali dell’Italietta degli anni Cinquanta, e scandalo e vergogna e restaurazione e vogliono rimandarci in cucina e ci vogliono tutte Cenerentole ha fatto precipitare il dibattito a un livello talmente basso da squalificarne lo stesso contenuto.

I figli soffrono. I figli di divorziati soffrono. I figli di non divorziati per obbligo economico e/o ipocrisia sociale, ma che sono divorziati di fatto, soffrono. Non è un’analisi sociologica, una parola d’ordine da sbandierare o un vittimismo preconcetto.È un dato di fatto. Non è colpa di nessuno, o è colpa di tutti, ma questo è quanto. E da tale punto di vista lo spot della pesca aveva toccato un nervo scoperto. Però la cosa più grave e più triste non è tanto questa - il trauma oggettivo a cui sono sottoposti i fragili in queste vicende familiari molto ricorrenti - la cosa più grave e più triste, e universalmente condivisa, è il fatto che i genitori molto spesso non siano all’altezza nemmeno di questa parte, la parte di quelli che si lasciano. Perché, per quanto paradossale possa sembrare, è proprio in quel momento che dovrebbero dare il meglio di sé.

Negli ultimi mesi ci sono stati diversi episodi di cronaca, di cronaca vipparola, di cronaca rosa, chiamiamola così, che hanno confermato questa ipotesi. In particolare la separazione, o meglio il post separazione, tra Ilary Blasi e Francesco Totti e quella freschissima tra Paolo Virzì e Micaela Ramazzotti (ci sarebbe pure quella tra Fedez e la Ferragni, ma lì c’è un aspetto giudiziario e quindi meglio lasciar perdere). Ora, in generale le vicende private di soggetti come quelli di cui sopra dovrebbero avere per un italiano mediamente intelligente, mediamente acculturato e mediamente maturo un interesse equivalente allo zero, da bollarsi con un ecumenico chissenefrega. Ci sono però un paio di cose significative. La prima è come, a partire dalla violenta sceneggiata sulla pubblica piazza davanti a tutti, figli compresi, appunto, tra il regista e l’attrice, iniziata a minacce e insulti e poi finita - fattuale - a spintoni, graffi, sediate e referti ospedalieri, e ricordando la disputa dei Rolex e delle borsette degli altri due, le cosiddette coppie di “destra” e quelle di “sinistra” scoppino alla stessa maniera. E cioè che la coppia di destra per antonomasia, il calciatore e la velina - scarsa cultura, scarsa lettura, burinissima postura - e quella ancor più

stereotipata di sinistra, il regista e l’attrice – terrazze giuste, salotti giusti, amici giusti, premi giusti, appelli giusti - alla fine, quando arriva la resa dei conti, si comportano in un modo identico: schiaffoni, querele e nessuna tutela dei figli. La seconda cosa interessante è aver ottenuto la prova provata di quanto quelle coppie siano inadeguate al ruolo e proprio per questo quanto siano simili, anzi, siano del tutto identiche a noi. Siamo tutti Ilary e Totti, siamo tutti Virzì e Ramazzotti, questa è la verità.

Quanto dovrebbero essere migliori i genitori, quando è passato il tempo delle mele, dei baci e degli abbracci, delle paroline e delle parolone, dei cuoricini e delle fanfaluche, quanto dovrebbero essere migliori anche quando è tutto finito, soprattutto quando è tutto finito, quanto dovrebbero essere più intelligenti e più saggi e più generosi, più generosi soprattutto, e riconoscenti comunque siano andate le cose e quanto rispetto dovrebbero avere l’uno per l’altra, per il tempo speso assieme, per quello investito e anche per quello sprecato. I figli li guardano e soffrono, sono piccole ferite che, certo, fanno sorridere rispetto a quelle dei figli di Ucraina, di Israele o di Gaza o di mezzo mondo, ma che sono comunque profondissime e che probabilmente, chiusi nel loro egoismo egocentrico egoriferito eterno-adolescenziale, i genitori non sono in grado neppure di cogliere. E non è questione di mani in faccia o ululati sui social o scene da avanspettacolo: basta un silenzio per creare un abisso, quei silenzi carichi di odio e livore e rancore che gravano come una cappa nelle case più insospettabili.

Quanto credevano di essere perfetti e ideali i genitori quando ancora non lo erano e quando sognavano di diventarlo e quanto sono rimasti invece prigionieri delle loro pochezze, delle loro cadute, delle loro meschinità, delle loro infamie. Chissà cosa provano i ragazzini a vedere la loro mamma e il loro papà, sia che siano ricchi e famosi sia che siano dei signori nessuno, accapigliarsi e infangarsi come in una commediola di serie B, chissà se varrà come insegnamento per essere migliori quando verrà il loro turno oppure come un trauma di cui rimanere prigionieri per tutta la vita. Gli esseri umani sono sempre così deludenti, è brutto scoprire che quegli esseri umani sono i tuoi genitori e che quell’essere umano, un giorno, sarai tu.

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