Forse Giorgia Meloni vuole restare fedele al proverbio per cui si può scherzare con i fanti, ma bisogna lasciar stare i santi. E per questo mantiene al loro posto i ministri Santanchè e Sangiuliano: la prima con una richiesta pendente di rinvio a giudizio per falso in bilancio, il secondo finito nel “Boccia gate”, dal nome della bionda imprenditrice di Pompei, presunta consigliere del ministero della Cultura, guidato dall’ex giornalista napoletano.
La verità è che al premier il solo sentire la parola “rimpasto” provoca reazioni allergiche. Di certo perché entrambi i ministri appartengono al suo partito (e ve ne sono altri sempre di FdI non messi benissimo, ne parleremo dopo) e poi anche per il timore che spostando due carte rischi di venir giù tutto il castello del governo. Basterebbe che un alleato mettesse sul piatto il criterio della competenza e non dell’appartenenza e il fuoco si avvicinerebbe in maniera molto pericolosa alle polveri.
Del resto, Meloni sta per passare all’incasso della nomina di Raffaele Fitto non solo nella commissione, ma anche alla vice presidenza europea. Un fatto che metterebbe a tacere tutti coloro che si sono stracciati le vesti dopo il sofferto “no” pronunciato dalla presidente del Consiglio al bis di Ursula Von De Layen. La temuta rappresaglia dell’estabilshment europeo non c’è stata. Anzi, l’uomo scelto da Giorgia avrà un peso anche superiore a quello di Paolo Gentiloni, commissario europeo italiano uscente. Il problema del posto lasciato libero a Roma da Fitto sarà risolto redistribuendo le deleghe senza nominare un altro ministro. In questo modo il premier italiano pensava di aver scacciato il fantasma del rimpasto che però si è di nuovo manifestato con il caso Sangiuliano.
La questione però non coinvolge solo il titolare della Cultura, ma un po’ tutto un personale politico di Fratelli d’Italia che, almeno per quanto riguarda la pattuglia ministeriale, non sembra brillare. Perché per mettere in difficoltà Sangiuliano non c’era bisogno di lady Boccia, sarebbero bastati tutti gli strafalcioni prodotti dal ministro. Così come l’idea di trasportare i turisti in elicottero nella Cogne isolata da una frana, poteva essere un motivo sufficiente per far accomodare fuori dalla compagine governativa Daniela Santanchè. E che dire di Francesco Lollobrigida, titolare dell’agricoltura nonché ex cognato di Meloni che, oltre ad aver fatto fermare un treno per non essere da meno, sta provocando le ire di tutti gli allevatori per la malaccorta gestione della peste suina. Se si vuol fare la storia, come ha detto ieri il presidente del Consiglio per rampognare Sangiuliano, servono persone all’altezza. E in questo governo non molti lo sono. Il premier potrebbe rappresentare un’eccezione e dovrebbe avere il coraggio di fare scelte che magari le procureranno dei grattacapi e dei rischi per la stabilità dell’esecutivo, ma farebbero bene al Paese. Perché di questo passo e con gli attuali protagonisti, anziché finire nella storia si rischia di cadere nel ridicolo: il confine è davvero sottile. Come si può definire altrimenti e in maniera benevola la vicenda del ministro della Cultura, certo vittima di una debolezza umana anche comprensibile, che però non può essere trasferita nel livello istituzionale. E questa, oltre a quelle già indicate sopra, dovrebbe essere una valida ragione per farsi da parte, sgravando il premier dall’imbarazzo di rimuoverlo.
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