Troppi servitori fan perdere la testa

Alla fine degli anni Novanta, all’apogeo della sua carriera, quando affastellava direzioni e vendeva valanghe di copie, Vittorio Feltri ha scolpito nella pietra una riflessione spassosa e profondissima: “Un secondo dopo che vieni nominato direttore, in redazione scatta il campionato mondiale di paraculismo”.

E in effetti spesso funziona così. Non solo nei giornali, ovviamente, ma in tutti gli uffici, in tutti i posti di comando. E più sale il livello dell’incarico, più aumenta la dose di potere, più gli stipendi si colorano di smeraldi e oro zecchino, più lievitano i bonus e i benefit, più si respira l’aria rarefatta dei salotti di quelli che ce l’hanno fatta, più aumenta - a dismisura - il livello di servilismo, di zerbinismo, di sguatterismo, di leccapiedismo, della corte dei miracoli che circonda il “capo”. I cherubini. I serafini. I pretoriani. Il cerchio magico. La bolla. La “famiglia”. I cavalieri serventi. I maggiordomi. I cicisbei di corte e, sempre di corte, i pagliacci e via così. Poi ci sono anche le persone libere e serie, naturalmente, ma rappresentano una minoranza.

E a chi capita la ventura di detenere un potere, grande o piccolo che sia - vuoi conoscere veramente un uomo? dagli un grande potere - questa dinamica fa sorridere, perché, in fondo, vedi quello che sono per davvero gli esseri umani e cosa sono disposti a fare pur di raccattare qualche parva briciola che casca dalla tavola imbandita di chi comanda. Però molto spesso, in modo sinuoso e avvolgente, fa pure piacere. Il servilismo ammalia. Il servilismo strega. Il servilismo seduce. Ed è a quel punto, quando del servo hai bisogno, quando hai necessità fisica della quotidiana razione di leccate di piedi, che iniziano i guai.

Non c’è mai stato, fino a oggi, un momento più felice per Giorgia Meloni. I recenti successi, soprattutto in politica estera - la liberazione di Cecilia Sala e la partecipazione al mainstream trumpiano, che solo uno sciocco o uno in malafede può negare - la mettono in una situazione di grande solidità e di visibilità assoluta. Certo, il governo è pieno di mezze figure, alcuni dati economici sono preoccupanti, la situazione internazionale è talmente magmatica che può riservare ribaltoni in qualsiasi momento, ma, per ora, solo un pazzo può pensare che non arrivi in carrozza alle elezioni del 2027 e che non sia possibile un altro quinquennio a Palazzo Chigi. Basta che uno rifletta su come sono conciate le opposizioni (risate) per capire che si tratta di uno scenario altamente credibile.

E’ un momento unico, quindi, che inizia a ricordare le grandi stagioni di potere diffuso e condiviso, tipo quella degli anni d’oro di Craxi o degli anni altrettanto d’oro di Berlusconi, nelle quali tutto sembra andare dalla parte giusta, tutto gira a meraviglia, le opposizioni sono allo sbando, il generone, il corpaccione del paese ha capito l’aria che tira e si accomoda, si accoccola dalla parte giusta della storia, quella dove spira il vento del successo. Tutto va bene. I talk show di sinistra strillano, i giornali di sinistra ululano, ma, insomma, chissenefrega. E poi ormai i giornali non li legge più nessuno…

Ed è proprio qui, nella piega invisibile dei giorni felici, che può nascondersi la magagna. Già si vede, da qualche tempo, sui media e nell’immaginario collettivo dell’intrattenimento popolare, un’ondata spumosa e squamosa, molto italiana, molto romana, molto umana, soprattutto, di spudorato servilismo nei confronti della persona più potente d’Italia. Attenti, non ammirazione, non stima, non rispetto - che nel caso della Meloni, piaccia o no, avrebbe comunque un senso, basta leggerne la biografia: è un politico tosto, furbo, esperto e capace - ma semplice servilismo. Servilismo in purezza. E quanto è brava la premier e quanto è ganza la premier e quanto è stratega la premier e quanto la sa lunga, sempre la premier, ovviamente, che poi è donna e madre e cristiana, femmina ma virile, severa ma giusta, dolce ma inflessibile, generosa ma parca, che premia e punisce, che atterra e suscita, che incita e redarguisce e la Meloni che dà la linea e la Meloni che bacia bambini biondi e la Meloni che falcia il grano e la Meloni che invade la Polonia e la Meloni che sbarca su Marte. Tutto vero.

Una roba da ridere. Una roba da piangere. Una roba vecchia come il mondo, che in questi ultimi giorni, sul servizio pubblico e privato, ha fatto tornare alla memoria a tutti quelli che hanno superato i cinquanta le irresistibili interviste di Onofrio Pirrotta a Bettino Craxi, nelle quali il cronista buonanima del Tg2 socialista interloquiva - rigorosamente in ginocchio – con il presidente del consiglio e tanto quell’omone grande e grosso, con la sua simpatia contagiosa, maltrattava quell’omino piccolo, rotondetto e farfugliante tanto noi telespettatori si sghignazzava nel vederlo sudare e annuire. Ma un po’ anche ci si immalinconiva. Perché avevamo tutti contezza che se fossimo stati al suo posto ci saremmo comportati nello stesso identico modo.

Erano tutti ai piedi di Craxi. Così come erano tutti ai piedi di Berlusconi. Si potrebbe dire così come erano tutti ai piedi di Mussolini, ma forse, vista la natura tragica della vicenda, qualcuno si offende e allora meglio non scriverlo, così come si potrebbe dire che erano tutti ai piedi di Renzi e Salvini, ma forse, vista la natura comica della vicenda, meglio non scrivere pure questo. Sembrava il segno del loro trionfo. Era invece l’inizio della loro rovina. Il servilismo è tremendo. E’ spietato. E’ un boa. Ti avvolge come una calza di seta. Ti rinchiude in un mondo omeopatico e autoreferenziale, nel quale tutti quanti ti dicono di sì, sempre di sì e solo di sì. E a te, nel profondo, piace moltissimo che così avvenga. E’ questo imbozzolamento che ti frega, perché ti fa perdere il contatto con la realtà, ti fa credere di essere chissà chi, uno scienziato, un cervellone, un unto del Signore, un inamovibile, un immortale, addirittura.

Fossimo nella Meloni, che è una donna intelligente, inizieremmo seriamente a preoccuparci. Noi servi l’abbiamo già messa nel mirino.

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