Quella di Ron era una Città per cantare, Como oggi è una città da ripensare. Non tanto per la Fase 2 che non comincia ma ci salta addosso e quello che si poteva fare non si è fatto o si è fatto poco (mica solo qua, eh). Piuttosto per il futuro prossimo che ci attende in cui le cose non saranno come prima e a lungo. Cominciamo dal turismo, la cosa più facile e tragica. Quanto ci vorrà per poter rivedere il centro punteggiato di folle incuriosite, occhi che roteano ad ammirare lo spettacolo, idiomi profusi per l’aere, negozi affollati, code quasi senza soluzione di continuità dalla funicolare alla biglietteria della navigazione? Tanto, troppo con ogni probabilità con il rischio concreto di una nuova trasformazione urbana a ritroso rispetto a quella osservata negli ultimi anni che riproporrebbe la Città Murata desolata e spettrale come la ricorda qualcuno che ha un po’ di lustri nel carniere della vita. Rammentate i dibattiti, poi sopiti dalla fioritura di una solare stagione turistica, di Como “dormitorio” di Milano. Torneremo così? Meglio pensarci. Ed è un’angoscia che deve chiamare a raccolta tutte le migliori energie cittadine. Bisogna reinventarci, dopo che questo virus ha azzerato e rinnovato il nostro catalogo delle paure.
E c’è poi il nodo della mobilità. Perché i comaschi dovranno pur tornare a muoversi sulle loro strade, lungo i marciapiedi in gran parte troppo stretti per consentire quel distanziamento essenziale a tenere le briglie al contagio. Tanti spazi vanno ripensati. E non sarà facile. Perché la nostra città rispetto a molte altre è svantaggiata per la sua costituzione fisica con lo scheletro di una convalle sempre più ristretta con il passar degli anni e i quartieri periferici spalle irrobustitesi a colpi di un’urbanistica alquanto dissennata.
Il Covid rovescia buona parte delle convinzioni fin qui considerate apodittiche. Il car pooling tanto per fare un esempio. Invero incentivato, ma poco praticato, ora assolutamente da ripensare: può essere risorsa, magari solo per i più giovani, se si riesce a garantire la massima sicurezza, come sostiene anche il virologo Fabrizio Pregliasco, ma anche problema. Ci manca solo di ammassarsi nei pochi metri quadri di un’autovettura per far felice il bastardo nemico. E poi il trasporto pubblico. La panacea, anch’essa poco somministrata se non in stato di necessità. Il sogno della metropolitana leggera stavolta rischia di trovare nel cassetto davvero il suo habitat ideale. Perché diciamola tutta: da domani questa è la X più grande delle tante incognite della fase due. Ce la si farà a evitare la promiscuità e nel contempo il collasso economico, considerata la base già traballante, sui cui poggia in questo senso il comparto? E poi chi salirà, a cuor leggero, su un autobus o un treno rinunciando all’esclusiva e sicura auto propria? Il rischio, specie dal 18 maggio, quando la gran parte delle attività avrà davvero riacceso i motori, è il ritorno a quella congestione delle strade urbane, specie di attraversamento, che ci siamo dimenticati in questi mesi in cui sull’asfalto sono risuonate le note di un silenzio assolutamente fuori ordinanza.
Cercasi piano del traffico disperatamente. E forse il secondo nodo della tangenziale, un disco che si è ormai consumato a furia di risuonare dalle colonne del vostro giornale, deve diventare la priorità delle priorità. In parallelo occorre gettare risorse economiche, intellettive e progettuali, nella fornace della mobilità leggera e sostenibile. In convalle si avverte una fame di piste ciclabili, di rimodulazione degli spazi. E magari è il caso di puntare sulla disponibilità di velocipedi elettrici per i più. Perché si sa che le salite, da queste parti non mancano. Un input che riguarda il pubblico quanto il privato.
Bisogna evitare che ci siano troppi mezzi sulla strada. Anche perché la relazione tra virus e smog, forse è clandestina, ma potrebbe comunque sussistere. Non vi è certezza.
Insomma, se c’è un ambito in cui il lavoro non manca, è quello del ripensare Como perché possa reggere all’adesso e soprattutto al dopo. Per una volta fateci il piacere di essere all’altezza della sfida che è immane.
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