«Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi, elezioni», è una parodia della nota canzone di Lucio Battisti, di recente ripresa anche dai comici Luca e Paolo che introducono il talk show “Di martedì” su La7. Nel 2024 metà della popolazione mondiale non “potrà capire” perché considerando i voti per l’Unione europea, quelli nazionali e i locali ci sarà una chiamata ai seggi in 76 paesi tra gli otto dei dieci più popolosi cioè Bangladesh, Brasile, India, Indonesia, Messico, Pakistan, Russia e Stati Uniti. In questa occasione si possono mandare sullo sfondo, anche se non si dovrebbe, due aspetti. Il primo è che nella metà dei territori coinvolti non ci saranno consultazioni veramente democratiche, caso mai plebisciti su dittatori e governi uscenti. Il secondo è che anche dove vi sono condizioni di libertà, vedi l’Italia, spesso il voto è regolato da leggi che cercano di limitare il più possibile la volontà dei cittadini nelle scelte a vantaggio di quella dei partiti.
Va invece considerata l’importanza di tre elezioni per le dinamiche geopolitiche e sociali di buona parte dell’umanità. In minima percentuale il voto in Russia, dove, giusto per dare un po’ di suspense si potrebbero stampare sulla scheda due nomi: “Putin” e “l’attuale presidente della Federazione Russa”. Di certo, insomma, le sorti della guerra in Ucraina non dipenderanno da questa tornata elettorale.
Diverso, anche se magari non troppo, il rinnovo del Parlamento europeo e, di conseguenza, della commissione, cioè il “governo” del Vecchio Continente. Fino a non molti anni fa, l’Europa era vissuta dai cittadini, anche quelli italiani, come un’entità astratta, lontana e di poco conto. Poi, specie dopo la caduta del Muro di Berlino e, soprattutto l’avvento della moneta unica, l’euro, la percezione è cambiata. Ci siamo abituati a sentire i politici nostrani che, di fronte a scelte impopolari, allargavano le braccia e dicevano “Ce lo chiede l’Europa”...
Prima le elezioni per il Parlamento europeo potevano anche rappresentare una sorta di “ricreazione del voto” in cui qualcuno andava a scegliere un partito diverso da quello abituale. E, almeno in Italia, poteva anche accadere, nel 1984, pochi mesi dopo la morte di Enrico Berlinguer, che il Partito comunista italiano risultasse il vincitore, cosa mai accaduta prima o dopo.
Adesso la musica è cambiata e le scelte per le europee di primavera sono dannatamente serie. Si tratta di decidere, in sostanza, se mantenere o cambiare di poco gli attuali equilibri che ruotano attorno al Partito Popolare centrista alleato con altre forze non sovraniste, oppure agevolare la spallata che queste ultime vorrebbe assestare per modificare in maniera profonda le relazioni politiche ed economiche del Vecchio Continente. Una cosa non da poco con una crisi economica ancora da lasciare alle spalle, un conflitto, quello russo-ucraino sulle porte di casa e il gigante cinese poco più il là che guarda pronto ad approfittare della situazione. Il voto europeo condizionerà in maniera importante anche gli equilibri di casa nostra, sia all’interno del recinto della maggioranza, sia tra i partiti e i movimenti di opposizione. Insomma sarà un test decisivo.
Così come accadrà per quello di novembre negli Stati Uniti, chiamati a scegliere il successore di Joe Biden che potrebbe essere il presidente in carica medesimo. Quest’ultimo, però, nonostante la crescita di prestigio dovuta al comportamento di fronte alla crisi in Medio Oriente, suscita ancora perplessità per l’età e l’impressione di una lucidità un po’ altalenante.
Non che il suo principale sfidante e favorito nei sondaggi, Donald Trump, sia molto più giovane. Ma in questo caso le inquietudini legate alla sua elezione riguardano la politica estera sulla guerra in Ucraina (per ci sarebbe la fondata possibilità di un disimpegno della Nato ispirato dagli Usa) e in quella in corso a Gaza, dove invece ci sarebbe da aspettarsi un appoggio più che convinto alla politica di Israele targato Netanyahu. E poi, con due guerre importanti in corso, l’idea che la valigetta con i codici per il lancio di ordigni nucleari torni nelle mani del Tycoon non dà un’impressione di grande tranquillità. L’obiettivo di una parte dell’establishment americano sembra quello di impedire a Trump di candidarsi visti i suoi innumerevoli guai giudiziari. Da qui deriva anche l’esclusione dalle primarie di due Stati, Colorado e Maine.
Insomma alcune elezioni dell’anno che sta arrivando sarebbe opportuno capirle bene. Certo la politica aiuterebbe, se ce ne fosse in giro di decente. Auguri di un buon 2024.
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