Un amaro sorriso
sul riscatto dei nonni

L’ironia è un tratto distintivo delle persone intelligenti. Soprattutto in un periodo che sembrerebbe fatto apposta per azzerarla. E soprattutto se la si esercita prevalentemente su se stessi.

Tra la pletora di servizi, commenti, inchieste, retroscena, polemiche che ogni giorno inondano i mezzi di comunicazione e che - anche a causa dell’abnorme livello di fuffa, diciamoci la verità - iniziano ad avvicinarci al punto di saturazione psicologica, probabilmente sarà sfuggita a molti una riflessione strepitosa consegnata qualche giorno fa al “Fatto Quotidiano” da un genio anarchico come Massimo Fini e ingiustamente seppellita a pagina tredici. Il ragionamento è del tutto paradossale e si può ben capire che anche per un giornale così da trincea sia difficile dargli maggiore visibilità, visto che siamo nel mezzo delle drammatiche giornate della quarantena e dell’epidemia. Ma è un vero peccato. Vediamo perché.

Il ragionamento svolto da Fini con grandissimo acume, sottile divertimento intellettuale e amaro, amarissimo sarcasmo esistenziale - il giornalista e scrittore compirà quest’anno settantasette anni - ribalta, grazie a uno sberleffo stilistico volto a esorcizzare la paura della fine, uno dei cardini del monopensiero di queste settimane di passione. E cioè che gli anziani siano i più colpiti, i più esposti e i più svantaggiati dal dilagare del coronavirus e da tutti i provvedimenti autoritari, per quanto necessari, per il suo contenimento. Innanzitutto, non è affatto vero che il Covid 19 li abbia presi alla sprovvista, costringendoli a una vita in cattività, perché loro - perché lui - di fatto stanno già quasi sempre in casa, ingabbiati dentro giornate tutte uguali, monotone e grisaille, scandite dalla sveglia attorno alle cinque - si sa, gli anziani dormono poco… - e dalla complicata e spesso faticosa operazione del lavarsi, vestirsi, muoversi e fare colazione, a causa di tutti gli storici acciacchi che a loro il coronavirus gli fa un baffo. Insomma, alle sette del mattino si spalanca già, immenso, il problema di come far passare tutto il resto della giornata. Niente di nuovo neppure qui.

Una fregatura causata dalla nuova situazione purtroppo c’è. La visione seriale della televisione – uno appena si alza la accende, anche se poi non la guarda: fa compagnia… - è diventa ta indigesta perché con questo subdolo virus che si infiltra in tutte, ma proprio in tutte le trasmissioni, anche quelle di cucina, anche quelle di bricolage, anche quelle di caccia e pesca, uno si stressa e basta. Quella dei giornali, tolto quello locale perché comunque gli over settanta, vero zoccolo duro di ogni testata storica, vogliono sapere cosa succede in città, è ancor più ansiogena, con il dramma aggiuntivo che i quotidiani sportivi ormai non servono praticamente più a nulla: fermi i campionati, ferme le coppe, rinviati all’anno prossimo Europei ed Olimpiadi. Una roba da diventare matti: “Il 2021 sembra, ed è, tremendamente lontano: un anziano, corona o non corona, non può ragionare con prospettive così lontane”.

Ma i guai finiscono qui. Pensate, prosegue Fini, a tutti i vantaggi di cui può godere un single agée, oltre a quello impagabile di essersi liberato, in un modo o nell’altro, di un coniuge rompipalle. Gli portano il cibo a casa. Gratis. Cosa che, proseguendo nell’iperbole spiritosissima, conoscendo l’indole innata dei liguri, spiegherebbe i picchi di contagio, o sedicenti tali, in alcuni quartieri di Genova. Ma non solo. Perché questo servizio benemerito che il volontariato dona ai tanti anziani bisognosi sparsi per il Belpaese offre, secondo il sì stagionato, ma davvero perfido giornalista, il destro per liberarsi finalmente di un’altra figura del tutto opprimente e autoritaria che governa, anzi, che spadroneggia in casa, molto di più e molto peggio di quello che faceva la consorte. La domestica. Personaggio eminentemente letterario – un po’ come la perpetua in parrocchia - che ha come sua ragione sociale quella di impedire all’anziano di farsi gli affari suoi, che staziona da tempi ormai immemorabili nell’angusto appartamento e che “ormai non sa far più altro che cucinare, male, e nel cui inesorabile declinare ti rispecchi”.

Ma non è finita. Perché un’altra calamità dalla quale i nati prima del Cinquanta si sono liberati grazie alla quarantena è quella rappresentata dai nipotini. Basta con questa retorica, basta con questa impostura, basta con questa pratica egoista e ipocrita - ma quanto fa piacere al nonno passare del tempo con gli amati pargoletti, carne della sua carne, sangue del suo sangue… - grazie alla quale i figli ingrati e degeneri, come sempre si dimostrano i figli, appioppano gli insopportabili bimbetti al nonno per farsi i comodacci loro senza pagare la tata. Tutto finito, per fortuna. Il bimbi sono i vettori più terribili di contagio per i vecchi e quindi distacco assoluto e, si spera, dice Fini, definitivo. In questo modo, il povero nonno, così credono loro, ma invece il felicissimo nonno, liberato in serie dalla coniuge rompipalle, dalla domestica autoritaria, dai figli ingrati e dai nipotini molesti, potrà finalmente dedicarsi alle sue occupazioni preferite: poltrire, mangiare tardi, bere a canna, fumarsi un sigaro, guardarsi un film possibilmente non d’autore, non d’essai e, soprattutto, non sottotitolato in cecoslovacco, annaffiare i fiori, sbattere la tovaglia sul terrazzo del vicino che gli sta sui maroni e tutto il resto di quelle cose che sembreranno puerili e insignificanti agli altri, ma che sono per lui sacrosante e inviolabili.

Infine, ultimo paradosso di questa magnifica (e censurabile?) provocazione intellettuale, il potersi togliere pure alcuni sfizi, innocenti o meno che siano: “Girare spavaldamente in città, mentre i giovani, tappati in casa, tremano di paura, tanto per te se non è oggi sarà domani, e quindi è meglio spendersi gli ultimi spiccioli in libertà. Tanto il massimo che ti possono fare è metterti ai domiciliari. E tu ci sei già”.

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