Si fa presto a dire urbanistica. Dopo che il sindaco di Como, Alessandro Rapinese, si è appropriato della delega togliendola all’assessore Enrico Colombo, sono arrivate le polemiche dell’opposizione sulla professione del primo cittadino, immobiliarista e in presunto conflitto di interesse con l’ambito che si è attribuito.
Ma i problemi caso mai sono altri. Per un pubblico amministratore, occuparsi di urbanistica vuol dire anche sviluppare una capacità di ascolto e di confronto con le energie propositive della città e del territorio e poi magari farne sintesi. In un luogo dove il tessile resta la principale risorsa economico produttiva bisogna saper insomma, proprio tessere. E’ una prerogativa di Rapinese questa? La risposta arriva da sola. La scelta del dialogo non sembra essere nelle sue corde. E allora la strada, non tanto per lui quanto per il futuro di Como rischia di farsi impervia. Perché se si parla di urbanistica in città bisogna tenere in considerazione almeno quattro grandi aree in cerca non di un destino, ma quello giusto e che devono essere pensate in correlazione tra loro: l’ex Ticosa, il San Martino, il vecchio Sant’Anna e la zona a lago con lo stadio Sinigaglia. Per due di loro, le prime, esistono proposte e studi che forse hanno il torto di non essere state elaborate da circoli politici e non, lontani dalla sensibilità del sindaco (ma c’è da chiedersi quali siano quelli vicini), ma che potrebbero essere prese in considerazione anche solo per integrarle, modificarle o anche bocciarle. Ma ignorarle potrebbe rappresentare un’occasione perduta. Sull’ex ospedale Sant’Anna siamo, da tempo, ai prodromi delle premesse e perciò una risposta urge.
Infine lo stadio che, ci si consenta, rimane ancora in parte un mistero. Sappiamo per voce di entrambi i soggetti che il Comune e la proprietà del Calcio Como si stanno parlando e che il clima è positivo. Bene, ma i contenuti di questi colloqui sono sfuggenti o perlomeno sfumati. Intanto il tempo passa, la squadra, mettete mano a tutti gli amuleti possibili e immaginabili, sembra aver imboccato la strada giusta per dare parecchie soddisfazioni ai tifosi e c’è da essere pressoché certi che, nel caso tutto andasse bene, rischieremmo di ritrovarci con la stessa situazione di oggi. Forse a questo dialogo sarebbe necessario far compiere un salto di qualità.
Le idee del Calcio Como sembrano chiare. Un po’ meno quelle del Comune che dovrebbero essere proprie anche della città. L’area dello stadio è un magnete strategico fondamentale per il turismo dove sono presenti modifiche che interessano la passeggiata e riguarderanno i giardini a lago. E’ giusto è opportuno che anche l’amministrazione, in rappresentanza della collettività, debba dire cosa vorrebbe vedere in quel comparto così da sintonizzarlo con i desiderata di quella che, anche in relazione a questa progettualità, è la miglior proprietà del Calcio Como che potessimo immaginare.
Ma, per quanto anche da parte della società, non vi siano pressioni, il tempo potrebbe diventare un avversario per la vittoria del progetto stadio e zona del lungolago. Per quanto la dirigenza del Calcio Como sia più che mai aperta e disponibile nei confronti della città, e non solo sul versante sportivo, ha sempre la testa e il cuore altrove. Insomma il timore è che alla fine la melina che sembra essere in atto (ma magari è un’impressione errata) rischi di non portare a un risultato positivo. Se il Comune è in difficoltà sul versante delle proposte e della visione di quel pezzo di Como, ricorra al metodo suggerito sopra: il dialogo e la tessitura.
La storia recente e non solo di questa scelta è fatta di decisioni urbanistiche che ne hanno segnato i connotati e indirizzato lo sviluppo. Forse servirebbe un grande piano del territorio che facesse perno sulle quattro aree strategiche. Ma va costruito insieme, coinvolgendo e non escludendo. Salvo mantenere l’indiscutibile diritto-dovere, conferito dai cittadini, della decisione.
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