Verso un semestre
bianco frizzante

“Dio, comincia il semestre bianco e non so cosa mettermi!”, sembra la frase che echeggia nei palazzi della politica. Per i non addetti ai lavori martedì 3 agosto parte la clessidra che segna i sei mesi che ci separano dall’elezione del nuovo capo dello Stato, quelli in cui il presidente uscente non può sciogliere le Camere e mandare il Paese al voto.

Si tratta di una norma costituzionale un po’ obsoleta, figlia della paura dell’uomo forte che, dopo l’esperienza del ventennio mussoliniano, aleggiava tra coloro che dovevano scrivere il libretto di uso e manutenzione della Repubblica. Si temeva che il capo dello Stato potesse brigare per creare le condizioni favorevoli a un proprio bis grazie a un Parlamento rinnovato ad hoc. Altri tempi. Certo, almeno fino a Sandro Pertini, quasi tutti gli inquilini del Colle avevano aspirato a un bis. Poi però è accaduto il contrario. Giorgio Napolitano, che aveva già le valigie in anticamera, fu costretto a prolungare la propria permanenza sul Colle più alto di Roma. E la stessa cosa potrebbe capitare a Sergio Mattarella, che pure non ci pensa proprio a rimanere. In questo caso, eleggere un capo dello Stato dopo il 2023 e con un nuovo Parlamento comporterebbe il rischio di privilegiare un esponente sovranista, cosa che l’establishment europeo aborrisce.

Anche questo dibattito sul Mattarella bis sì o no rende il semestre quantomeno “bianco frizzante”. Tra i partiti della maggioranza sembra essere in corso una sorta di impazzimento diffuso che mette a rischio la sopravvivenza del governo di Mario Draghi, per cui potrebbe diventare dura continuare con il “non ti curar di lor, ma guarda e passa”. I Cinque Stelle vivono da tempo immersi in un marasma che non è degenerato solo per il rischio di perdere le poltrone dorate e intrupparsi tra coloro in cerca del reddito di cittadinanza. Conte, leader che divide, avrà il suo bel da fare. E questi comunque, anche se alla fine non ci si crede, sono sempre il gruppo di maggioranza relativa, la trave portante - per quanto tarlata - dell’esecutivo. Ora, dopo un po’ di scricchiolii, sembra sul punto di implodere anche la Lega. Già il fatto che Salvini sia al “Papeete” mentre il partito è al governo non è foriero di buoni auspici, visti i precedenti. Ma poi c’è la crepa sul green pass che si allarga ogni giorno tra il Capitano e coloro che sono tentati di abbandonare la nave che comincia a imbarcare un po’ di acqua o ammutinarsi. E certo non aiuta l’episodio dell’assessore che ha ucciso l’immigrato a Voghera. Ma se persino un fedele nocchiero come Giancarlo Giorgetti fa sapere di non condividere più la rotta tracciata, c’è da allarmarsi.

Poi c’è il Pd, che quando si tratta di far baruffa è una garanzia. Si sa, infatti, che all’interno del Nazareno esiste un nucleo in servizio permanente effettivo la cui ragione sociale è indebolire o far cadere il segretario nazionale, chiunque esso sia. Ed Enrico Letta è atteso da una prova elettorale, quella in una Siena agitata per le sorti della sua storica banca, che rischia di essere una forca caudina. Infine c’è l’eterna mina vagante, Matteo Renzi, che per contare un po’ di più è disposto a tutto. Alla fine la sola che può starsene tranquilla sotto l’albero delle nespole che cadono senza neppure dover scuotere la pianta (ma attenzione alla qualità dei frutti) è Giorgia Meloni, felicemente collocata all’opposizione solitaria.

In questo scenario c’è da stupirsi se qualcuno arriva addirittura a invocare lo “stridor di sciabole”, cioè un governo guidato da un militare come per la campagna vaccini? Meglio andarsi a rivedere il vecchio “Vogliamo i colonnelli”, capolavoro di Mario Monicelli, e farsi due risate.

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