Violenza antisemita: se l’odio non muore

A volte il passato non ha voglia di lasciarci in pace, e si fa strada nelle nostre vite come un tulipano avvelenato. È il caso di Amsterdam, la capitale della tolleranza, del liberalismo e del «vivi e lascia vivere». La città dei canali e dei mulini a vento, si è trovata a fare i conti con un ritorno dell’antisemitismo. Ad Amsterdam dopo una partita di calcio - per carità, solo una partita di calcio - tra Ajax e Maccabi Tel Aviv, le strade si sono trasformate in un ring di violenza contro i tifosi israeliani, con dieci feriti e più di cinquanta arresti. Quasi a rimarcare che l’odio non muore mai, ma solo si trasforma.

Ed ecco il premier israeliano Netanyahu, che di certo non perde l’occasione per fare una dichiarazione a effetto, organizzare voli speciali per riportare a casa i suoi tifosi. Come se fossero reduci di guerra, o di una missione in terra ostile. Forse non ha tutti i torti, perché di ostilità si parla e la partita di calcio è solo un pretesto, un alibi, una bella occasione da prendere al volo: in realtà, dietro le bandiere e i cori, dietro la guerriglia urbana tipica dei gruppi ultras (e in Italia ne sappiamo qualcosa) si intravede quella vecchia piaga che da secoli perseguita l’umanità: l’antisemitismo.

Proprio ad Amsterdam, città simbolo di apertura, la città di Anna Frank. Ironia della sorte, paradossale, vero? Quell’ironia macabra che sa regalarci la storia.

Perché tutto questo accada è una domanda che molti si pongono. Si incolpano le circostanze, le tensioni, il conflitto israelo-palestinese, come se il Medio Oriente, con i suoi massacri e ritorsioni, fosse qualcosa che autorizza ogni rancore razziale. Geert Wilders, il populista anti islamico di professione olandese che non perde occasione per alzare la voce, ha parlato addirittura di «pogrom», termine forte, che suona più come un’accusa verso un sistema che come un tentativo di capire il problema.

Anche il primo ministro olandese, Dirk Schoof, ha dichiarato la sua «profonda vergogna», promettendo giustizia. Ma le parole sincere, per quanto belle, non cancellano i fatti, e i fatti parlano di una macchia difficile da lavare. C’è chi poi invoca la storia, e non a torto. Il re d’Olanda, Guglielmo Alessandro, ha persino paragonato queste aggressioni al fallimento olandese durante la Shoah, quando il Paese si rivelò incapace di proteggere i suoi cittadini ebrei. «Abbiamo fallito allora, e abbiamo fallito ieri sera».

Parole amare, che forse andrebbero scolpite su qualche lapide della città dei canali, non solo ripetute a caldo.

L’antisemitismo è un male antico, e come tale sa mimetizzarsi. Ora si traveste da reazione politica, ora da protesta per le ingiustizie in Palestina. Ma resta antisemitismo, vecchia brace sotto la cenere, sempre pronta a riaccendersi.

Certo Netanyahu, con la brutale e sproporzionata risposta dopo la strage del 7 ottobre, con i continui massacri di civili innocenti a Gaza, non fa che regalare pretesti a questi odiatori.

Ma in tutto questo, il Medio Oriente è solo una scusa: la violenza e l’odio non sono mai la risposta, la guerriglia di strada e il razzismo non hanno bisogno di politica per giustificarsi, si nutrono di immagini forti, di slogan facili, di simboli sbiaditi.

E qui arriviamo al punto: il calcio, o meglio, l’uso di una partita come teatro di guerriglia urbana. Quella stessa guerriglia che, come ha detto il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, «non difende il popolo palestinese, è solo caccia all’ebreo, come se fossimo tornati indietro di cento anni».

Ci vantiamo di aver imparato qualcosa dagli orrori del passato, eppure eccoci qui, con i volti coperti come ai tempi che aggrediscono i tifosi, con le bandiere che sventolano come proiettili di carta in un conflitto senza fine, con gli slogan «morte all’ebreo» come nella notte dei cristalli. Le immagini che hanno fatto il giro del web non sono solo il ricordo di una serata andata storta: sono un monito che, se non stiamo attenti, l’odio torna a insinuarsi nelle nostre società. Anche se camuffato da protesta, anche se infiocchettato con le parole giuste, è pur sempre odio. E non si può permettere che ci prenda di nuovo. Non in Europa, non nel 2024, non negli stadi e non per le strade delle nostre città.

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