Una delle poche cose certe, oltre alla morte e alle tasse, è che quando gli esseri umani si mettono in testa di fare una cosa, alla fine la fanno. E non c’è modo di tenerli, di controllarli, di mettere argini o vincoli o divieti o sacri comandamenti. Vince sempre il loro istinto prometeico, la loro natura esploratrice, il loro febbrile desiderio di essere qualcosa d’altro da sé, di cambiare la realtà, manipolare l’esistente, esplorare nuovi mondi e prenderli e possederli.
C’è quindi solo da rassegnarsi, dopo aver sentito Mark Zuckerberg presentare “Meta”, che non è solo il nuovo nome di Facebook, ma un progetto molto più ampio e molto più visionario - e quindi potenzialmente diabolico - che si propone di costruire un rinnovato luogo dell’esistenza, un mondo tutto virtuale, una protesi del reale dove nei prossimi anni un miliardo di persone, secondo i suoi modesti propositi, vivranno la loro nuova vita.
Ora, non bisogna farsi influenzare dalla simpatia contagiosa che ispira l’imprenditore americano - inferiore solo a quella di Cristiano Ronaldo, di Alessandro Di Battista e dell’allenatore dell’Atalanta - né dal fatto, già sottolineato da alcuni analisti, che questa sia solo una manovra strumentale e tutta politica per far “dimenticare” il logo di Facebook, in grave crisi di appeal e travolto da pesantissime accuse di aver diffuso l’odio on line e di aver privilegiato i profitti rispetto alla sicurezza. Tutto questo attiene alla cronaca ed è quindi interessante, ma molto meno rispetto al cambio di passo che questo progetto, che lui cova da tempo, pone davanti agli occhi di tutti. L’enorme, mostruosa massa di dati raccolta da Facebook, Instagram e Whatsapp, tutte piattaforme di sua proprietà, non potrà che sfociare, prima o poi, nella realizzazione di un ambiente totalmente virtuale e aumentato, che d’altra parte esiste già adesso, dove un “uomo nuovo” - ecco il passaggio delicato che rimanda a una profondissima radice del pensiero filosofico moderno - si muoverà a contatto con le altre persone dopo aver operato una radicale trasformazione antropologica che lo porterà “oltre” - in greco “meta”, appunto - la realtà fisica attuale.
Un mondo primigenio, quindi, un universo essenzialmente distopico che potrebbe rappresentare uno strumento di liberazione da tanti vincoli e affanni quotidiani, ma anche una caverna autoreferenziale dove rifugiarsi e imprigionarsi per sempre, un formidabile strumento di potere riservato solo a quei pochi - cosa volete che sia un miliardo di persone rispetto ai sette, otto, dieci miliardi che saremo presto? - che se lo potranno permettere, che avranno i soldi per essere connessi e partecipare al gioco, all’esperienza, anzi, all’esistenza totalizzante e immersiva, mentre tutti gli altri ne saranno esclusi. Privilegiati e paria: niente di nuovo, che ne dite?
Ma anche questo, come già detto, servirà a ben poco. Non è il caso di fare tanti strepiti e invocare limitazioni e regolamenti e confini invalicabili, perché la storia ce lo insegna. L’uomo i confini li ha sempre superati e qui sta tutta la sua grandezza -altrimenti saremmo ancora appollaiati sulle piante - e tutta la sua catastrofe - chi vuole trasformare gli uomini in angeli è lo stesso che costruisce i lager - e quindi è lì, nel “metaverso” di Zuckerberg che prima o poi si andrà a parare.
L’unica trappola nella quale non cadere è quella di bersi la balla secondo la quale la realtà futura sarà migliore di quella attuale e di credere che questo foliage antropologico creerà un uomo davvero diverso da quello che è ora e da quello che è stato nei secoli e nei millenni passati. Certo che sarà diverso - quanto è differente l’uomo dell’epoca greca e romana da quello del Rinascimento e questo da quello dell’Ottocento e questo da noi? – ma non sarà migliore. E, attenzione, neppure peggiore. L’uomo resterà quello che è perché l’uomo resta sempre uguale a se stesso, il suo richiamo della foresta sarà sempre quello e lui continuerà a essere governato sempre dalle stesse pulsioni, la sopravvivenza individuale, la sopravvivenza della specie, il possesso, l’odio, l’invidia, la foia, lo spazio vitale, il potere, l’accidia, la superbia, la violenza, il sopruso, anche l’amore, la carità e il perdono, certo, ma soprattutto la solitudine e potete stare ben certi che tutto questo enorme armamentario sul quale si basa tutta la produzione letteraria e filosofica della nostra civiltà passerà armi e bagagli dentro il nuovo palazzo del cosiddetto uomo nuovo.
Poco importa che brandisca una clava o che indossi un visore tridimensionale, perché continuerà a essere permeato e avviluppato e informato da quelle caratteristiche che lo rendono l’essere vivente più misterioso - e pericoloso - del creato, capace delle imprese più nobili e commoventi, così come di quelle più abbiette e spaventose. Lui, l’uomo nuovo, continuerà a cercare il senso della vita senza trovarlo mai e a pregare un Dio che rimarrà sempre silenzioso, perché se gli rispondesse lo priverebbe della sua libertà, e a sprecare giornate e tempo e occasioni e a rimpiangerle e ad accorgersi solo alla fine, accovacciato su una palafitta o seduto davanti a una consolle, che il suo tempo è passato e che lui non se ne è neppure accorto.
Non spaventiamoci troppo, quindi, per l’arrivo di “Meta”. Anche questa volta non c’è nulla di nuovo sotto il sole e così continuerà, inesorabilmente, a essere. Tutto è già scritto nel nostro codice genetico dall’origine dei tempi, proprio come immortalato in quella sequenza magistrale di “2001: Odissea nello spazio”, quando lo spezzone di osso usato dall’uomo scimmia per ammazzare i suoi rivali e diventare così il dominatore della terra si trasforma, improvvisamente, in una navicella spaziale persa tra le galassie. La metafora dell’essenza dell’uomo e della sua storia in una semplice immagine definitiva. Chissà se quel cervellone di Zuckerberg ha visto il film. E, soprattutto, chissà se ha capito il vero significato del monolito…
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