Uno arriva a cinquant’anni e, all’improvviso, si sente un fallito. È un brutto momento capire che non si è combinato praticamente niente di buono, ma chi vuole essere onesto non può non guardare in faccia la realtà.
Una delle conferme di questa durissima essenza della vita è stata vissuta da chi scrive questo pezzo durante i giorni concitati delle elezioni del nuovo presidente degli Stati Uniti, con tutto il suo affollarsi di dirette, maratone, talk show, focus, faccia a faccia e approfondimenti di ogni ordine e grado durante i quali era tale il roteare di esperti e analisti e retroscenisti e commentatori e grandi inviati e tale la massa di dati e numeri e tendenziali e algoritmi e ponderazioni che, alla fine, con un certo spaesamento, veniva spontaneo pensare che quello che fino a un giorno prima era un paese dove tutti erano luminari di virologia, all’improvviso si era trasformato in un paese nel quale tutti si erano scoperti luminari di storia americana.
Perché il punto non è tanto che per ogni settore di una società complessa come la nostra e per ogni spicchio di realtà storica e geografica ci sia un soggetto competente che ne parli e ne divulghi i contenuti grazie alla sua preparazione e alla sua esperienza pluriennale sul campo - e ci mancherebbe altro - per quanto, dopo aver visto fior di virologi, infettivologi, epidemiologi e immunologi con curriculum lunghi tre chilometri prendersi a mazzate in testa e a gatti morti in faccia in diretta tv come in un film dei Vanzina, onestamente qualche dubbio lo ha fatto venire. No, la questione qui è diversa. Se ci fate solo un minimo di attenzione, non potrete non notare che in questo stravagante e spassoso paese degli spaghetti alle vongole, i soggetti che prima discettavano tronfi ed egagri di virologia e adesso di geopolitica globale, di fatto appartengono tutti quanti alla nostra meravigliosa categoria, che in quanto a spirito critico, schiena dritta, sapere enciclopedico - e voglia di lavorare - non prende lezioni da nessuno.
Insomma, un poverocristo che non sa che pesci pigliare e che spera che qualcuno gli faccia da guida tra i marosi di un’attualità sempre più febbrile si aspetta, se si tratta del Covid 19, di sentire una batteria di giornalisti esperti di scienza, medicina, tracciamenti, quarantene, normative sanitarie e invece, se ci sono le elezioni americane, si aspetta di sentire un’altra batteria di giornalisti esperti di storia moderna e contemporanea, di sociologia degli States, di politica estera dell’Otto e Novecento, di trattati internazionali, e allo stesso modo, se si dovesse trattare di riforma scolastica e universitaria, uno continua ad aspettarsi un’altra batteria di giornalisti che da anni scrivono e studiano di selezione, formazione, funzione docente, modelli pedagogici e di istruzione in Italia e all’estero, accesso alla professione, aggiornamento, ruolo dei presidi, autonomia eccetera. Logico, vero?
E invece no. Qui a parlare sono sempre quelli, sempre i soliti, sempre gli stessi – chissà come mai? - e tu, da povero e frustrato imbrattacarte di provincia, all’inizio ti rodi e ti indispettisci e ti incupisci tutto verdognolo e giallastro nel vedere chi fa e chi non fa, chi dà lezione in cattedra e chi si gratta il naso sul divano, e magari almanacchi su chissà quali complotti ai tuoi danni, cooptazioni, filiere, massonerie, poteri forti e via cinquestellando. Però ti sbagli perché poi, trasmissione dopo trasmissione, retroscena dopo retroscena, maratona dopo maratona, non puoi che essere travolto dall’enciclopedismo, dal tuttologismo, dalla sapienza, dall’onniscenza dei preclari colleghi analisti principi delle rispettive autorevolissime testate, che saltabeccano da una rete da un’altra, da un programma a un altro e, soprattutto, da un argomento a un altro con una rapidità, una leggiadria e una gaiezza da lasciare sbalorditi.
E che sorrisi e che faccini e che boccucce a culo di gallina e che minuetti con i loro colleghi parigrado che, insomma, è di tutta evidenza che la situazione non potrà che evolvere in questo modo e chiunque abbia letto il mio ultimo saggio lo potrà ben condividere e noi che esercitiamo questo porco mestiere che qualcuno deve pur fare ne abbiamo viste troppe calcando i marciapiedi del mondo per non capire prima degli altri quello che succederà e bla bla bla. E quindi, in sequenza, prima questi spiegano al popolo bue le dinamiche della terza ondata del Covid, poi le strategie geopolitiche della nuova America di Biden, poi il risiko della finanza globale così pesantemente modificato dall’attivismo di Cina e India, poi l’impatto delle infrastrutture stradali e ferroviarie sulla mobilità dell’Europa del 2100, poi la verità vera sul riscaldamento globale all’interno di un’organizzazione sostenibile dell’umanità, poi i timori e tremori dei baby boomer in un mondo deideologizzato, poi etimologia, semiotica e gnoseologia dei nuovi linguaggi delle tribù urbane dei nostri adolescenti così social ma al contempo così fragili. Senza dimenticare, naturalmente, un sapido affondo sulla riforma costituzionale della Nuova Zelanda, la vexata quaestio dell’agricoltura biologica, la contraddittoria eredità di Bava Beccaris, la primazia dell’anafora tra le figure retoriche, i pro e contro della posizione del missionario. Tutto vero.
Una folta, vorace, spiritata schiera di Leonardo da Vinci quattropuntozero, di Einstein degli anni Duemila, di Aranzulla catodici grazie alla quale, beati noi, non abbiamo più bisogno di interrogarci su nulla, preoccuparci di nulla, studiare nulla. Basta digitare sul telecomando per avere a ogni ora del giorno e della notte la risposta a qualsiasi interrogativo, qualsiasi quesito, qualsiasi perplessità: dall’enciclica di Papa Bergoglio alle spinte autonomiste della repubblica di Abcasia, passando per la ricetta originale dell’astice alla catalana, nulla sfugge alla loro preveggenza e onnipotenza. E questa sì che è una vera consolazione.
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