Cristina e il giudice ucciso a Torino: un filo unisce i delitti Mazzotti e Caccia

Eupilio Si apre domani in Corte d’Assise il processo a carico dei tre presunti sequestratori. L’indagine, archiviata nel 2011, riaperta grazie all’esposto dell’avvocato

Se domani pomeriggio davanti alla Corte d’Assise di Como si tornerà a parlare del sequestro e dell’omicidio di Cristina Mazzotti, a oltre 49 anni di distanza, lo si deve alla caparbietà di un avvocato messinese. Fu infatti lui, nel 2021, a presentare una denuncia con sollecito di riapertura delle indagini, anche se con il caso Mazzotti (all’epoca) non aveva nulla a che fare.

Il processo

Prima di raccontare il retroscena, una premessa sul processo che si apre domani a Como. Cristina Mazzotti fu sequestrata a Eupilio il primo luglio 1975 di rientro da una serata con due amici. La Mini sulla quale viaggiava venne fermata da un commando armato e i giovani furono portati in provincia di Varese dove la giovane - diciottenne - venne portata via. Morì durante la detenzione tra il 31 luglio e l’1 agosto dello stesso anno. Tredici le persone condannate per quel reato. Ma dal processo rimasero sempre fuori gli esecutori materiali e i mandanti, ovvero uomini affiliati alla ’ndrangheta.

A processo domani comparirà proprio questo livello. Ovvero il presunto organizzatore del sequestro, Giuseppe Calabrò detto “U’ Dutturicchio”, 70 anni, con una lunga sequenza di arresti e condanne anche per fatti di sangue, e i suoi due presunti complici nel sequestro: Antonio Talia, 73 anni, pregiudicato per armi e droga, e Demetrio Latella, 70 anni, reo confesso del sequestro di Cristina.

La riapertura delle indagini

Ed è proprio il coinvolgimento di Latella ad aver spinto un avvocato che nulla aveva a che fare con la vicenda Mazzotti a far riaprire il caso. Lui si chiama Fabio Repici e, domani, siederà in aula come parte civile di Vittorio Mazzotti, fratello di Cristina. Il filo conduttore conduttore tra il legale messinese e la riapertura del caso è proprio Demetrio Latella. E l’omicidio del giudice Bruno Caccia, vittima di un agguato di ’ndrangheta a Torino nel 1983.

Latella, già ergastolano per un altro omicidio (eppure in libertà ormai da anni), era finito sotto inchiesta proprio per l’omicidio Caccia. Ma la sua posizione venne archiviata. Ad assistere la famiglia del magistrato vittima dei clan calabresi, l’avvocato Repici. Che proprio nel tentativo di reperire informazioni su Latella e sul suo eventuale coinvolgimento dell’esecuzione contro il giudice, si imbattè nella vicenda Mazzotti.

Sull’auto dove viaggiavano Cristina, il fidanzato Carlo Galli e l’amica Emanuela Luisari, i poliziotti già all’epoca avevano ritrovato un’impronta digitale. Senza però alcuna possibilità di collegarla ad alcuno. Oltre trent’anni dopo, nel 2006, la squadra mobile di Como inviò alla Procura una informativa per dire che, finalmente, quell’impronta ora aveva un proprietario e quel proprietario era Demetrio Latella. Quest’ultimo venne indagato, il giudice delle indagini preliminari rigettò la richiesta di arresto, e nel successivo interrogatorio confessò non solo di aver partecipato al sequestro, ma fece anche i nomi di Calabrò e Talia. Quest’ultimi riconosciuti anche da Carlo Galli e - il solo Calabrò - da Emanuela Luisari.

Nel luglio 2011, però, il pubblico ministero della Dda di Milano Tatangelo chiede e ottiene (con un semplice timbro da parte del giudice) l’archiviazione delle accuse perché a suo dire, applicando anche solo un’attenuante che potesse escludere l’ergastolo il reato era ormai prescritto.

Dieci anni dopo l’avvocato Repici, bollando come «assai discutibile» la valutazione dell’allora procuratore, chiese la riapertura dell’indagine. Perché i reati di omicidio, soprattutto se conseguenza di sequestro di persona, non si prescrivono. Richiesta accolta. E così domani si torna in aula. A 49 anni da uno dei fatti di cronaca più sconvolgenti avvenuti sul nostro territorio.

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