Crollo del ponte di Annone: «Era omicidio stradale»

La sentenza Depositate le motivazioni della Corte di Cassazione, che ha rigettato il ricorso di due imputati

Annone brianza

Il ricorso è stato respinto, dunque resta in piedi la sentenza d’Appello, ma, per i giudici della quarta sezione penale della Corte di Cassazione, avrebbe avuto ragione il collega di primo grado, l’allora presidente della sezione penale del Tribunale di Lecco Enrico Manzi, a condannare gli imputati, oltre che per il reato di crollo di costruzioni e disastro colposi, per omicidio stradale.

È quanto si legge nelle motivazioni depositate pochi giorni fa, a ridosso di Pasqua, della sentenza con cui gli Ermellini hanno - appunto - rigettato il ricorso presentato dai legali di Angelo Valsecchi, che all’epoca dei fatti era responsabile del settore Viabilità della Provincia di Lecco, e dell’ingegner Andrea Sesana, dipendente dello stesso ufficio.

La morte di Claudio Bertini

Il caso è quello del crollo del ponte di Annone: la tragedia è datata 28 ottobre 2016, quando il viadotto si schiantò sulla statale 36, uccidendo sul colpo l’ex insegnante di educazione fisica civatese Claudio Bertini, 68 anni, alla guida della sua Audi. Venne travolto da quintali di cemento: il cavalcavia si sbriciolò sotto il peso di un trasporto eccezionale, un autoarticolato della società Nicoli.

Ciononostante, diventano definitive le pene inflitte ai due ricorrenti, un anno e quattro mesi per Sesana (con il beneficio della pena sospesa e della non menzione) e un anno e otto mesi per Valsecchi, ridotte in Appello, nell’aprile di un anno fa proprio per la riforma dell’imputazione da parte dei giudici di secondo grado, che hanno condannato per il reato di omicidio colposo “semplice”, senza l’aggravante contestata da Manzi (e grazie alla quale l’ipotesi di reato relativa alla morte di Bertini non si era prescritta). Questo perché il ricorso è stato presentato dai legali della difesa e non dal procuratore generale. In quel caso, infatti, sarebbe stato prevedibile ipotizzare l’annullamento della sentenza, con il rinvio ad altra Corte d’Appello per un nuovo processo.

Nel merito delle motivazioni, tutte molto tecniche, la quarta sezione della Corte di Cassazione (presidente, Andrea Montagni, giudice relatore Marina Cirese) ha ritenuto inammissibili le doglianze dei difensori dei due imputati, convalidando quanto stabilito sia in primo che in secondo grado.

Il difensore

«Non posso che prendere atto della sentenza della Corte di Cassazione, ma non posso nascondere il mio rammarico di fronte a un provvedimento che ha affrontato i motivi di ricorso - redatti insieme al professor avvocato Paolo Veneziani - in un modo, a mio parere, piuttosto sbrigativo. La motivazione è piuttosto deludente, anche perché, contrariamente a quanto dovrebbe accadere in Cassazione, il fatto ha assunto un rilievo dominante rispetto ai denunciati vizi di motivazione della sentenza di secondo grado», afferma l’avvocato lecchese Stefano Pelizzari, difensore di Andrea Sesana.

Si chiude così, definitivamente, una delle vicende giudiziarie che più ha tenuto banco negli ultimi anni nel nostro territorio, un fatto di cronaca che ha scosso profondamente i cittadini di tutta la provincia.

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