Delitto in caserma, le accuse ai medici

Asso: le motivazioni della sentenza di assoluzione del brigadiere Milia, che uccise il maresciallo Furceri. Le critiche alla commissione militare che gli restituì l’arma di ordinanza: «Profili di negligenza professionale»

Il brigadiere Antonio Milia era «lucido nell’agire», mentre esplodeva i tre colpi che misero fine alla vita del suo comandante Doriano Furceri, all’interno della caserma di Asso, la sera del 27 ottobre 2022. Ma nello stesso tempo «non era capace di intendere e di volere, avendo una falsa percezione della realtà» credendosi «vittima di una persecuzione» che aveva «eluso completamente la capacità di capire quello che faceva».

Il tutto, all’interno di un «quadro delicato che impone un approfondimento investigativo sulla posizione dei medici militari» della Commissione Medica che restituirono a Milia l’arma d’ordinanza dopo un anno di convalescenza per disturbi psichici. Una decisione che fu presa nonostante «gli elementi che erano nelle loro disponibilità per le valutazioni».

Con queste parole durissime, contenute in oltre cento pagine, i giudici del Tribunale Militare di Verona hanno motivato l’assoluzione del brigadiere della caserma di Asso successiva ad un rilevato difetto di imputabilità in quanto «totalmente privo della capacità di intendere e di volere».

Una sentenza che tuttavia si è conclusa con la decisione di rimandare gli atti alla Procura Militare per valutare eventuali profili di responsabilità della Commissione medica che ridiede l’arma a Milia, meno di dieci giorni prima dell’omicidio del comandante della stazione che risale alla serata del 27 ottobre 2022.

Una notte tragica rimasta nell’immaginario collettivo. Milia, dopo aver esploso i tre colpi in rapida sequenza contro il suo comandante, al piano terreno della caserma, si asserragliò dentro nel tardo pomeriggio, e solo l’intervento all’alba dei Gruppi Interventi Speciali dei carabinieri (con un militare che rimase a sua volta ferito) permise di porre fine al fatto di sangue arrestando il brigadiere.

«I fatti sono pacifici – scrivono i giudici del Tribunale Militare – Ricostruiti nel dettaglio e con una precisa successione cronologica dell’evento. Milia aveva avuto molte difficoltà ad abituarsi all’azione di comando di Furceri, pienamente legittima, sviluppando per questo una mania di persecuzione».

Milia fu anche ricoverato, dopo un utilizzo «non appropriato« dell’arma di ordinanza nel proprio alloggio, e rimase per un lungo periodo in convalescenza. Fino a quando la Commissione Medica lo riammise in servizio, restituendogli l’arma.

Ed è questo passaggio (vale a dire la restituzione dell’arma) che finisce al centro dell’attenzione del Tribunale: «Valutazioni che possono ragionevolmente presentare profili di negligenza professionale e superficialità», per cui «è doverosa la trasmissione degli atti alla procura militare».

Poi le parole più dure: «I medici militari (sono tre quelli che valutarono Milia a Milano, ndr) non sono dei meri passacarte di valutazioni altrui – si legge nelle motivazioni – bensì sono professionisti chiamati a fare autonome valutazioni, anche perché dalla loro valutazione dipendeva la restituzione dell’arma che già era stata usata in modo improprio» qualche mese prima. (Mauro Peverelli)

© RIPRODUZIONE RISERVATA