La ragazza accoltellata a “La Provincia”: «Voleva uccidermi, così mi sono salvata»
Esclusiva Parla la giovane di 24 anni aggredita dall’ex fidanzato sul piazzale di un centro commerciale. «Mi ha seguito con l’auto, costretto a fermarmi. Poi le botte e il tentativo di strangolamento. Ora vivo nel terrore»
Questo è il racconto di una morta che parla. Maria, chiamiamola così, racconta a “La Provincia” dal letto di un ospedale di come è riuscita a sopravvivere all’agguato dell’uomo che non si rassegnava a non averla più. Ha il volto tumefatto, i capelli strappati, una coltellata nella schiena e lo sguardo che tradisce la paura. La voce è ferma e tradisce un leggero tremore soltanto quando ammette: «Cosa mi succederà quando uscirò di qui? Ho paura, non voglio morire».
Il suo caso, ieri, campeggiava su tutti i media. L’agguato al supermercato, la coltellata, il precedente dell’acido gettato in faccia un anno fa, il suo persecutore che doveva essere agli arresti domiciliari e invece era in giro a cercarla. Si sente una sopravvissuta: «Lui voleva uccidermi, ha fatto di tutto per riuscirci. E stavolta ci è andato vicino. Troppo vicino, se sono viva lo devo alla mia disperazione».
Maria ha chiamato “La Provincia” – lei che risiede in un paese dell’Erbese – per raccontare gli eventi di una mattina che resterà scolpita nella sua mente per sempre. E da lì cominciamo. «Sono uscita in auto verso le 11.30 perché avevo un appuntamento a pranzo con un’amica. Mentre stavo guidando, mi sono accorto all’improvviso che un’auto mi stava seguendo. Era lui, l’uomo che doveva essere agli arresti domiciliari e che invece era lì, nel mio specchietto. Mi ha avvicinato più volte, facendo i fari, abbassando il finestrino e ordinandomi di accostare. Ho finto di non sentire, mentre cercavo disperatamente il telefonino per chiamare aiuto. Ma ero sulla strada, c’era traffico, mi tremavano le mani, non ce l’ho fatta».
E poi… «Mi ha detto di fermarmi al piazzale del supermercato, perché altrimenti sarebbe finita male. Ho fermato l’auto, sono scesa e l’ho affrontato, facendo affidamento alla forza della disperazione. Gli ho chiesto “Che ci fai qui? Non sei agli arresti?”. Con aria strafottente mi ha detto che lui sapeva tutto dei miei movimenti. Poi mi ha detto di salire in macchina. E a bruciapelo mi ha chiesto “Tu mi ami?”. Ma che domanda è, in una situazione del genere. Con tutto il tatto possibile, gli ho detto che no, non lo amavo e che non volevo avere più nulla a che fare con lui. Sembrava calmo, si è girato e ha detto: “Sei sicura?”. All’improvviso mi ha preso per il collo, mi ha abbassato sugli occhi il cappuccio della tuta che indossavo ed ha preso il filo per la ricarica Usb del telefono, facendolo passare attorno al mio collo. Ha stretto forte, e ho quasi perso i sensi».
La situazione è rapidamente precipitata. «Con gli ultimi barlumi di forza mi sono buttata fuori dall’auto, lui mi ha raggiunto, presa per i capelli. Ed ha cominciato a picchiarmi. Calci, pugni, mi sono sentita trascinata sull’asfalto per metri che mi sembravano chilometri, non so come ho fatto a non svenire. Il viso mi bruciava, ogni pugno era una martellata… Sono riuscita ad allontanarmi di qualche metro...».
E ancora: «Comunque, aggrappandomi a un’auto ferma ho cercato di rialzarmi, ho girato lo sguardo e ho sentito una fitta alla schiena. Era sempre lui, armato di coltello. Ho visto il sangue uscire e ho iniziato a correre, non so neppure io verso dove. Un signore, davanti alla mia disperazione, mi ha fatto salire sull’auto e mi ha scaricato nel parcheggio sotterraneo del supermercato. Era più impaurito di me, mi ha detto di salire al piano di sopra e se ne è andato. Ho raggiunto la farmacia e mi sono accasciata a terra, senza più forze. Ricordo che mi hanno tamponato le ferite con la garza, l’arrivo dell’ambulanza e la stanza dell’ospedale. Ero viva».
E dopo la paura, ecco il terrore. «Voleva uccidermi. Me lo scriveva sempre su Tik Tok. Diceva che voleva vedere il mio sangue, che mi avrebbe accoltellato per 77 volte. E quando è scappato ha avuto il coraggio di telefonare a mio padre, per dirgli che mi aveva ammazzata e che andasse a prendere il mio cadavere». (...)
Adesso il futuro è un letto d’ospedale e immagini che non se ne andranno più. «Ho paura, paura di morire. Sì, certo, frequento uno psicoterapeuta nella speranza di poter uscire da questa spirale di disperazione. Ma il mio futuro, sta nella speranza che lo rinchiudano in prigione. E buttino via le chiavi. Non voglio morire per causa sua».
L’articolo completo su La Provincia di mercoledì 11 dicembre
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