L’evasione dal carcere, poi la paura delle conseguenze lette su Internet: condanna di dieci mesi per il ragazzo di Canzo
Il caso Ieri davanti al giudice il diciannovenne coinvolto nella fuga dal carcere Beccaria è stato processato per rito direttissimo: «Non ho avuto il coraggio di rientrare»
Avrebbe riferito ai giudici che lo processavano con rito direttissimo nel palazzo di giustizia di Milano, di essersi accorto subito di aver fatto una sciocchezza con quella evasione, ma di aver avuto paura a tornare indietro per le conseguenze possibili che aveva letto su Internet.
Per questo sarebbe rimasto incerto su come agire per tre giorni, fin quando nella tarda serata di mercoledì ha deciso di presentarsi spontaneamente in questura a Milano, consegnandosi nelle mani della polizia.
È questo il racconto fatto dal diciannovenne di Canzo che era uno dei sette giovani evasi nel pomeriggio di Natale dal carcere “Beccaria” di Milano.
Vi era rinchiuso dalla scorsa estate, da quando cioè era stato fermato in un parco del Triangolo Lariano. Le accuse per lui parlavano di maltrattamenti in famiglia.
Tutti rintracciati
Il giovane, assistito dagli avvocati Laura Redalli e Michele Cervati, ieri mattina come detto è stato processato per direttissima proprio per l’ipotesi di reato di evasione e alla fine ha scelto di patteggiare la pena che è stata quantificata in dieci mesi. Il giudice - accogliendo l’accordo sulla pena - ha poi disposto che il ragazzo venisse ricondotto sempre al “Beccaria” da dove era scappato solo pochi giorni prima.
Tutti e sette i giovani fuggiti, tra l’altro, sono stati nel frattempo ripresi oppure si sono spontaneamente riconsegnati come nel caso dei due comaschi, il diciannovenne di Canzo di cui abbiamo appena detto ma anche il diciassettenne di Cantù che era stato il primo a tornare indietro, convinto subito dalla sorella.
Il ragazzo di Canzo ieri, dicendosi dispiaciuto per l’accaduto, avrebbe raccontato di essersi allontanato rendendosi subito contro di aver commesso una sciocchezza, non trovando tuttavia il coraggio di tornare sui suoi passi per paura delle eventuali conseguenze.
Anche due stranieri
La vicenda dei ragazzi del “Beccaria” era esplosa nel pomeriggio del giorno di Natale, intorno alle 16, quando il gruppetto – cinque italiani, compresi i due comaschi, un ecuadoriano e un marocchino – che si trovava al campo di calcio, aveva approfittato della distrazione dell’unico agente della penitenziaria presente per poi scappare abbattendo una protezione in legno e arrampicandosi sulle impalcature del cantiere da anni aperto presso il carcere minorile meneghino.
Da qui erano riusciti a guadagnare il “salto” all’esterno del penitenziario per poi disperdersi.
Almeno fino a quando il confronto con i rispettivi genitori, parenti o avvocati li avrebbe convinti a tornare indietro, ripresentandosi al “Beccaria” per evitare conseguenze peggiori.
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