L’ultimo saluto scambiato sulle scale, prima degli spari e della tragedia. La vedova del comandante Furcerci: «La moglie del brigadiere? L’ho abbracciata... penso ai loro figli»
L’intervista La vedova del comandante dei carabinieri ucciso il 27 ottobre: «Questa brutta storia ha rovinato due famiglie, tra noi c’era cordialità. Quanto affetto nei nostri confronti»
«L a sera dopo quello che è successo ho visto la moglie del brigadiere. Era venerdì. Ci siamo abbracciate in casa sua, in forma privata. Anche per lei ci sarà un periodo brutto adesso. Ho pensato soprattutto ai suoi figli». Patrizia Aquilino parla con accanto il figlio più piccolo, Jacopo, che di piccolo ha proprio poco. È un cuoco. Doveva partire, per iniziare quel “giro del mondo” che spesso caratterizza la sua professione. Tutto rinviato perché ora la famiglia, lo stringersi l’un l’altro e il calore umano hanno la priorità. Erano loro due presenti nella casa della caserma di Asso quando il marito e padre, Doriano Furceri, veniva ucciso da quel carabiniere che per loro era solo un vicino di casa, nell’appartamento accanto.
Di questa storia di dolore che ha attraversato l’Italia, sono rimaste per ora macerie. Ma, nell’animo della moglie e dei parenti, dai figli ai fratelli e alle sorelle, c’è anche la voglia di ringraziare tutti per la vicinanza dimostrata. E il nostro discorso, con accanto anche l’avvocato che segue la famiglia, il penalista Paolo Camporini che chiede di non entrare nel cuore degli atti di indagine, parte proprio da qui.
«Abbiamo sentito attorno a noi una grande partecipazione, calorosa. Ne abbiamo ricevuto forza per tentare di superare questo momento. Per questo i familiari vogliono ringraziare tutte le persone che hanno condiviso il nostro dolore, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ci ha fatto pervenire un messaggio di cordoglio, i rappresentanti delle istituzioni, la grande famiglia dell’Arma dei carabinieri ed in particolare il comandante generale Teo Luzi anche per il discorso che ha onorato la memoria di Doriano, i rappresentanti del governo nazionale, regionale, locale. E poi i sindaci e tutti gli abitanti di Asso e Bellano. Tanto affetto come ricompensa per chi ha sacrificato la propria vita per amore della divisa a tutela del prossimo, da vero Comandante».
Lei era in casa, con suo figlio, la sera del 27 ottobre. Era nel suo alloggio al piano alto della caserma di Asso ad aspettare il rientro di suo marito.
Ho sentito gli spari. Ho capito subito che qualcosa non andava. Ho udito poi la sirena dell’ambulanza e ho cercato di capire dove si stesse recando. Ho visto che veniva verso la caserma e mi sono preoccupata. Tutto è durato pochi minuti. Sono scesa di sotto, sono uscita dal vialetto senza passare dalla caserma, non sono mai passata dai locali della caserma. Qui ho visto un militare che mi ha detto di rientrare subito in casa. L’Arma ha cercato di tranquillizzarmi, ho chiesto di mio marito ma non avevano ancora notizie certe da darmi.
La famiglia Milia abitava accanto alla sua porta.
I rapporti tra noi erano di buon vicinato. C’era la classica cordialità tra chi vive accanto, magari un po’ formale ma io ero anche arrivata nella caserma di Asso da poco più di un anno. Quando si organizzavano le cene partecipavamo e mio marito era sempre allegro e gioviale.
La moglie del brigadiere Milia è venuta al funerale.
Non l’avevo vista ma me l’hanno detto. Mi ha fatto piacere. Un pensiero per lei e per i suoi figli l’ho sempre avuto, sono due le famiglie rovinate da questa brutta storia. La sera dopo gli spari ci siamo viste e l’ho abbracciata.
Ha voluto dire subito, prima di questo incontro, grazie a tutti.
Si, perché ho sentito molto vicino la caserma di Asso, poi anche gli abitanti, il sindaco, tutti. Anche alla camera ardente ho avuto gesti di enorme affetto, anche da parte di gente che non conoscevo. Questo ci ha aiutato. Eravamo stati tanti anni a Bellano, ad Asso eravamo arrivati da poco.
C’è qualcosa che le ha dato fastidio in questi giorni dopo la tragedia.
Il richiamo a quello che era successo a Bellano. L’ho trovato oltre che non vero, inopportuno. Il trasferimento avvenne per esigenze dell’Arma e non per altri motivi.
La voce della vedova di Furceri, è sempre stata incrinata dall’emozione ma è quando chiediamo dei pochi giorni che mancavano alla pensione e di come avesse conosciuto suo marito che gli occhi le si inumidiscono e brillano, asciugati da un fazzoletto bianco.
Mancava un anno e mezzo alla pensione. Saremmo tornati a vivere a Bellano. Mio marito era molto affezionato al paese e molta gente lo ricordava con piacere. Avremmo voluto tornare lì. Adesso non più, non senza Doriano.
Chi era suo marito?
È difficile da dire. Lo conobbi 33 anni fa, eravamo sposati da 31. Ci conoscemmo a Carate Brianza, mi colpì il suo portamento e come portava il cappello. Era una figura imponente, rassicurante, anche se era ancora molto giovane, era al suo primo incarico. Era colto, amante dello sport, da ragazzo giocava a basket. E poi amava la cucina. Nei miei figli c’è tutto questo. Il più grande ama lo sport, il più giovane fa il cuoco, il mezzano, anche lui sportivo, è rimasto a vivere a Bellano, non aveva voluto trasferirsi. Anche io avrei voluto tornare a Bellano ma solo con Doriano, ora non ci tornerò.
Anche per questo ha deciso di seppellire suo marito nel cimitero di Carate Brianza?
Sì, e anche per questioni emotive. Li è dove ci siamo conosciuti e dove tutto è iniziato.
L’ultima domanda non facciamo in tempo a farla. Perché, al momento dei saluti e della stretta di mano, è la vedova del comandante della stazione di Asso a scegliere, piangendo, come concludere il nostro incontro, toccandoci nel profondo. «Io lo vedo ancora mentre scende le scale verso la caserma, girandosi per dirmi ci vediamo questa sera. Sembra stupido da dire, ma io sono rimasta ancora lì». E forse tutto il paese di Asso è rimasto ancora lì, quando tutto non era ancora cominciato. Quando questo incubo pareva impossibile. Quando ancora non si pensava a come metabolizzare un lutto impossibile da metabolizzare.
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