Marchi contraffatti nel comasco: maxi inchiesta sul mondo tessile
Guardia di finanza Oltre venti persone sotto inchiesta. Perquisizioni in imprese della provincia di Como. Operazione coordinata dalla Procura di Milano. Viene contestata anche l’associazione per delinquere
Un’inchiesta su un giro di capi d’abbigliamento e accessori di marca contraffatti sta alzando un vero e proprio polverone nel mondo del tessile comasco. Dove alcune imprese sono finite nel mirino delle Fiamme gialle e della Procura di Milano. Allo stato sono oltre una ventina le persone indagate, il cui elenco compare in un decreto di perquisizione che nei mesi scorsi ha portato i militari del nucleo di polizia economico-finanziaria della Gdf di Como a effettuare accertamenti e verifiche in numerose abitazioni, laboratori, magazzini e aziende della nostra provincia, e non solo.
Sull’indagine vige un riserbo assoluto, rotto solo dai pochi atti formali effettuati per cercare riscontri a un’accusa che ipotizza il reato di associazione per delinquere finalizzata alla contraffazione e alla vendita di prodotti industriali con segni mendaci.
L’avvio dell’indagine
Il primo atto di un fascicolo nato in quel di Milano, ma che si è spostato rapidamente su Como, patria delle aziende tessili licenziatarie delle più grandi griffe del lusso e della moda, è stata una perquisizione compiuta ormai alla fine dello scorso anno - ma tenuta rigorosamente sotto silenzio - alla società di confezioni 2C Cappelletti di Cantù. Nei capannoni della ditta brianzola, ma anche nella disponibilità di un ambulante milanese tra i principali inquisiti nel fascicolo del pubblico ministero Paolo Storari, i finanzieri hanno trovato - e sequestrato - numerosa merce risultata contraffatta.
Da quel sequestro gli inquirenti hanno iniziato a seguire la traccia dei foulard, delle sciarpe, delle borse con marchi Louis Vuitton, Christian Dior, Chanel, Burberry, D&G, Gucci, Chanel, Ferragamo, Fendi e Bulgari. E questo anche grazie alla collaborazione di alcuni degli indagati.
Gli accertamenti hanno permesso di risalire, ad esempio, al dipendente di una tessitura di Como, la Tessitura Scotti (il dipendente è indagato, gli amministratori e i responsabili della Tessitura Scotti non lo sono e non sono sotto accusa, anche se nei mesi successivi al blitz della Cappelletti i finanzieri hanno effettuato una perquisizione all’interno dell’azienda che ha sede a Tavernola) e a una piccola azienda di confezioni di Busto Arsizio. La titolare di quest’ultima, sentita dai finanzieri, avrebbe riferito che i tessuti e le etichette griffate trovate dagli inquirenti sarebbero state fornite da un dipendente della Achille Pinto, importantissima azienda tessile di Casnate con Bernate. Anche in questo caso, come in quello della Tessitura Scotti, il dipendente è indagato, mentre i vertici della Pinto non lo sono, anche se inevitabilmente i finanzieri hanno proceduto a delle perquisizioni in azienda e a carico del legale responsabile (anche lui non indagato, tanto che potrebbe pure essere parte lesa in questo fascicolo).
Le perquisizioni
L’indagine delle fiamme gialle ha portato ad alzare il velo anche su un incredibile numero di piccole società di confezioni dove - secondo gli inquirenti - sarebbero transitati (senza averne alcun titolo, stando alla ricostruzione compiuta sulla base delle testimonianze raccolte) tessuti e stoffe che le imprese tessili comasche realizzano su mandato delle grossi griffe di moda. Tra queste un piccolo laboratorio gestito da una cittadina marocchina ad Albese con Cassano, la Marmar srl di via Oltrecolle a Como.
Complessivamente una trentina le perquisizioni effettuate nei mesi scorsi dai finanzieri, nell’ambito delle quali sarebbero stati cercati e - in alcuni casi - trovati riscontri alle ipotesi accusatorie. L’indagine è tuttora in corso.
© RIPRODUZIONE RISERVATA