Non solo droga, anche tante armi: «La pistola? Tenetela sempre con voi»

’Ndrangheta Dalle pieghe dell’indagine il quadro di un’organizzazione con grandi risorse e la disponibilità di un arsenale utile «per l’incolumità fisica ma anche per ribadire l’autorità»

Nell’estate del 2020, fuori da un bar, un uomo vicino al clan viene picchiato da una quindicina di «albanesi o rumeni», «che stanno ad Erba». La vittima del pestaggio, chiama in soccorso il «braccio operativo», così viene definito nell’ordinanza, del boss Luigi Vona, 71 anni di Valbrona. Stiamo parlando di Vincenzo Milazzo, 38 anni residente a Canzo.

Quest’ultimo non arriva da solo, ma accompagnato da una pistola calibro 38 e dalle relative munizioni. Il clima è tesissimo. Solo l’intervento di un terzo sodale evita che il quadro degeneri. Il giorno dopo è lo stesso Vona a voler sapere dell’accaduto, della provenienza di questi albanesi, della composizione del loro gruppo.

L’aggravante dell’associazione

L’episodio – che è anche un capo di imputazione dell’ordinanza eseguita questa settimana dalla squadra Mobile – è citato più volte proprio perché rende bene l’idea di quanto i gruppi criminali sgominati dalla polizia in provincia di Como potessero disporre di armi da fuoco, tanto da arrivare a contestare, almeno per il gruppo dell’Erbese, l’aggravante dell’associazione armata proprio per la «disponibilità di armi da fuoco, a volte da guerra», da parte di numerosi indagati. Armi e droga – che era il core businness dell’associazione - venivano occultate in nascondigli (chiamati “imboschi”) di cui tutti i sodali erano a conoscenza, pronti all’uso nel caso ce ne fosse bisogno. Il tema della pericolosità e della quantità delle armi a disposizione del gruppo criminale era già emerso in conferenza stampa, quando il direttore del Servizio centrale operativo della polizia Vincenzo Nicolì, affiancato dal Questore Marco Calì e dal dirigente della Mobile Matteo La Porta, aveva parlato (preoccupato) «dell’enorme disponibilità di armi che stiamo riscontrando». E del resto, oltre all’episodio di cui abbiamo parlato all’inizio, basta scorrere le pagine della misura cautelare per rendersene conto, con ben 7 capi di imputazione che fanno riferimento proprio alla presenza di armi da fuoco e munizioni nel Comasco.

Il costo delle cartucce

Pistole che venivano regalate, oppure chieste dalle donne del gruppo «da tenere nella borsetta». Pistole che venivano vendute con le munizioni, anche a acquirenti in arrivo dalla Svizzera, pistole che erano pure fonte di litigi, come quando proprio un componente dell’associazione aveva scoperto che erano state nascoste sotto una grondaia, finendo con l’arrugginirsi tutte: «Ora devo portarle a sistemare», dice seccato. Le pistole che giravano erano davvero numerose. Armi che, scrive il giudice, «servivano per l’incolumità fisica ma anche per ribadire l’autorità» dell’associazione. Anche questa era – ed è – la provincia di Como. Incolumità, dicevamo, soprattutto durante i giorni delle grosse tensioni con un altro gruppo criminale in cui viene consigliato a Milazzo, di «mettersela sempre addosso (la pistola, ndr) anche se ti dico che arrivano amici».

Nelle intercettazioni c’è di tutto: c’è il sodale che punta per gioco la pistola addosso ad un altro facendolo arrabbiare («A me la devi girare dall’altra parte», replica), ci sono fucili a canne mozze recuperati perché appartenuti a un anziano deceduto («che bello il fucile già tagliato, era tutto abbandonato»), e anche recriminazioni per il costo delle cartucce che venivano pagate con la cocaina: «Ma quanto costano? Ci compravo sette scatole». Un ultimo episodio, che fa sorridere, da un certo punto di vista, e preoccupare da un altro. Nel corso delle “prove di tiro”, un proiettile finisce per danneggiare la vettura di un sodale: «Il suo proiettile era piccolo – replica il proprietario dell’auto – Non me l’ha bucata. Io invece gli ho bucato tutto il motocarro con la mia».

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